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Intervista a Felicita – Associazione per i diritti nelle RSA

1- Come sai Donne In si occupa di “invecchiare al femminile “e il tema dell’abitare per gli anziani è uno degli argomenti di cui i occupiamo. Da quanto noi sappiamo e da quanto tu ci confermi, nelle RSA le donne ricoverate sono la maggioranza. Oltre ad una evidente maggior longevità, ci sono altre ragioni che fanno sì che le donne siano ricoverate in maggior numero?

Si stima che in Lombardia sulle 367.000 persone over 65 che hanno limiti funzionali e necessitano di cure e assistenza, circa 110.000 sono uomini e 257.000 sono donne.   Le donne, benché più longeve, sono maggiormente colpite da patologie croniche meno letali che insorgono più precocemente e diventano progressivamente invalidanti con l’avanzare dell’età. Il multitasking e il ruolo femminile di caregiver all’interno della famiglia incidono negativamente sulla sua salute, portandola a vivere un maggior numero di anni in condizioni di salute via via più precarie.

In famiglia e nella società la donna, occupata e non, si occupa dei figli e della casa, dei genitori anziani, poi dei nipoti e del marito anziano. Quando rimane sola e tocca a lei essere assistita nella sua perdita di autosufficienza, difficilmente ha una scelta alternativa al ricovero.

2- L’ Associazione Felicita nasce durante la strage degli anziani nelle RSA: quali sono gli aspetti di questo dramma che si è consumato  e che vi hanno fatto decidere di agire?

L’anziano è le radici del nostro passato, la nostra storia e la nostra memoria, è quel futuro che tutti noi abiteremo, è il presente che ci mette di fronte alla comune debolezza della condizione umana, a quella normale fragilità che tutti noi abitualmente nascondiamo o rimuoviamo, e che si manifesta nelle vite incrinate dalla malattia, dall’handicap e dalla vecchiaia.

L’alto numero di decessi seguiti alla diffusione del Coronavirus all’interno delle Rsa, in particolare in Lombardia, un disastro sociale e umano di proporzioni abnormi di cui siamo stati testimoni, cci ha consegnato un’intera generazione decimata, quella delle nostre madri, padri, nonne e nonni che hanno contribuito a costruire il nostro paese nel dopoguerra. Una generazione di persone capaci di sopportare e tollerare persino il distacco dal loro ambiente di vita e dall’affetto dei loro cari, che non abbiamo saputo proteggere. Durante l’emergenza Covid abbiamo assistito alla passiva accettazione delle morti di persone fragili che si trovavano in luoghi dove avrebbero dovuto essere massimamente protetti, a colpevoli ritardi nelle procedure di sicurezza, a gravi mancanze nella gestione delle strutture ed evidenti negligenze nell’attivare tutte le procedure che avrebbero dovuto evitare la diffusione del contagio all’interno delle case di riposo. Oltre ai danni dovuti alla mancata protezione, gli anziani stanno tuttora subendo il danno di una prolungata esclusione dalla vita e da possibile ritorno alla normalità. La verità è che nella nostra cultura sono considerati marginali, nei loro bisogni e nei loro diritti. Occorre invece trasformare la tragica esperienza che abbiamo vissuto in un’opportunità di cambiamento del modello di assistenza socio-sanitaria, e costruire una cultura della vecchiaia dove non si considera la normalità un lusso inadatto agli anziani. E dove la fragilità, intesa come condizione costitutiva della vita, non debba essere nascosta, marginalizzata, considerata alibi per una sottrazione di diritti, bensì protetta e difesa come un bene comune prezioso.

Per questo è stato naturale il nostro passaggio da comitato che rappresenta e difende i diritti dei parenti delle vittime ad associazione che rappresenta e difende tutti gli attori sociali implicati (ospiti, parenti, personale medico ed infermieristico, cittadini sensibili al tema) coinvolti nel “mondo” delle RSA.

3- Noi Donne In ci occupiamo di RSA già da qualche anno, organizzando eventi con esperti e raccogliendo molte ricerche che convergono tutte circa la necessità di riorganizzare le RSA sia da un punto di vista assistenziale che culturale: tanto più in una prospettiva di aumento della fascia di popolazione anziana che non è pensabile venga assistita solo da badanti con un sistema di “Assistenza domiciliare” inadeguato. Quali sono i principali aspetti che Felicita vorrebbe venissero modificati?

Non ci può essere cura né assistenza che non passi dalla conoscenza e dal riconoscimento dell’anziano come individuo portatore di bisogni e di diritti e dal rispetto della sua dignità di essere umano. Cruciale, nel futuro delle strutture per anziani sarà la conciliazione tra sicurezza sanitaria e conservazione della qualità di vita, secondo criteri di cautela nel buonsenso, ma anche nel ‘buon cuore’, con uno sguardo di empatia e di pietas.  Il confine sottile tra l’essere “contenitore protettivo chiuso” o “luogo di cura aperto” porta molte strutture a seguire la strada più facile rispetto a una gestione che garantisca all’anziano la conservazione della propria identità e una buona qualità dell’assistenza: privilegiare un’organizzazione fortemente impermeabile all’ambiente esterno. Una strada che confinando l’ospite tra le mura di un’istituzione totale, e sottraendogli i suoi principali punti di riferimento, investe di valenze punitive anche i parenti.

Da tempo si è capito che le Rsa non devono essere luoghi ghettizzanti ma ambienti di accoglimento in modo da consentire gli anziani residenti di continuare ad “abitare” il mondo esterno, quanto meno quello primario, il più prossimo, i cui protagonisti sono figli, mogli, nipoti.

4- La pandemia ha portato il tema delle RSA ad una riflessione collettiva rispetto a temi che non si conoscevano o di cui non ci si voleva occupare. I protagonisti di questo dibattito sono però numerosi e con interessi anche divergenti: i ricoverati e i loro familiari, i gestori delle RSA, il personale che ci lavora, le risorse stanziate dalle diverse istituzioni. Cosa chiede Felicita ad ognuno di loro per condurre un’azione comune e quindi più efficace?

Sul ruolo dei familiari e la loro presenza nella vita delle RSA è necessario interrogarsi per le implicazioni che il tema riveste nella concezione dell’assistenza all’anziano, in particolare di quello non più autosufficiente.  La presenza dei familiari, il loro coinvolgimento, deve costituire parte essenziale dell’organizzazione della struttura e della vita dell’ospite, per il quale il momento delle visite è tra l’atro l’evento atteso più importante, quello che in genere dà senso a tutta la giornata.

Se la valutazione sanitaria è più difficile quando la famiglia non costruisce un ponte di conoscenza tra l’ospite e il sistema di cura, in particolare quando l’anziano presenta deficit di memoria o disturbi mentali, i parenti dovrebbero essere considerati parte integrante anche dell’assistenza, favorendone l’alleanza con tutti gli operatori.

Sottovalutare il loro ruolo o addirittura vivere come un’interferenza, un fattore di disturbo, qualcosa di improprio la loro presenza e le loro aspettative di essere ancora coinvolti nella presa in carico del parente, la loro esigenza di partecipare nell’organizzazione e nelle scelte della struttura, significa considerare l’anziano quasi una proprietà della struttura.

Anche per questo, all’interno dovrebbero essere previsti Comitati dei Parenti, istituiti in modo autonomo dagli stessi familiari, dotati di un proprio regolamento, che garantiscano l’applicazione della Carta dei Diritti e la verifica delle risposte ai bisogni di informazione, di comunicazione sullo stato di salute degli ospiti, sugli interventi terapeutici messi in atto, sull’andamento delle attività all’interno della struttura.

Sarebbe anche utile che i Comitati dei parenti si rapportassero con i Consigli di zona, in modo da creare legami tra la struttura e il quartiere per rendere più integrata la vita degli ospiti con l’esterno. Questo perché le RSA dovrebbero accogliere, avere le porte aperte, essere connesse con il territorio, non feudi inaccessibili o luoghi di detenzione.

Occorre dunque considerare i differenti bisogni di relazione di utenti e famiglie tenendo presente che oltre certi limiti il benessere psico-affettivo delle persone coincide se non addirittura conta più di una salute definita sulla base di astratti criteri clinici, e che molte persone, in particolare nella vecchiaia, sono disposte ad assumersi rischi e responsabilità individuali pur di continuare a dare significato alla propria vita.

Sebbene la fase emergenziale dell’epidemia sia passata, sappiamo che dovremo convivere ancora a lungo con il Covid. A maggior ragione è quindi necessario uscire dal corto circuito del conflitto tra attribuzioni di responsabilità dei singoli attori in campo, che si tratti di istituzioni nazionali o di autonomie locali, di aziende private o di soggetti terzi, per trovare soluzioni eque e condivise che sappiano mediare tra le esigenze di tutti.  Perché la sorte degli anziani è il nostro stesso destino, come individui e come società.

5- Cosa può fare Donne In per dare visibilità e sostegno all’azione di Felicita?

Sono tanti i temi su cui lavorare insieme. La perdita dell’autosufficienza dà esito a un affievolimento delle relazioni sociali e affettive. E l’isolamento sociale si intreccia con Il peggioramento delle condizioni di salute, generando un quadro sanitario problematico che finisce per potenziare il disagio dell’anziano, in particolare della donna, da sempre più abituata a tessere i fili delle relazioni, e quindi più centrata sulla dimensione della socialità.

In quanto competenti in capitale umano femminile voi potete avere un ruolo importante anche nell’aiutarci ad affrontare il tema della formazione del personale di cura.  A fare la differenza in termini di efficienza e qualità dell’organizzazione è il capitale umano delle RSA, in genere legato alle dimensioni medio-piccole, e gli investimenti che si fanno sulla formazione del personale. Nel determinare la qualità del servizio di una RSA, il fattore umano rappresenta più del 95% ma i criteri di selezione, di retribuzione, di attenzione verso il personale, specialmente quello delle qualifiche inferiori, sono drammaticamente bassi.  E una bassa qualità di vita del personale di assistenza conduce a una bassa qualità di vita del ricoverato.

 

L’Associazione Felicita nasce il 6 giugno 2020 come ampliamento del Comitato Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio, fondato il 16 aprile 2020 da Alessandro Azzoni, giovane imprenditore milanese di 46 anni, la cui madre è stata contagiata dal covid-19 proprio all’interno del PAT.   L’associazione, che ad oggi ha iscritti provenienti da 200 strutture in tutta Italia. Ha deciso di impegnarsi in prima linea per cambiare il modello delle Rsa e costruire una nuova cultura della vecchiaia dove i bisogni della persona anziana siano al centro. Sul loro sito www. associazione.felicita.it è stato costruito un “Muro della Memoria” per ricordare i volti degli anziani morti nelle RSA senza il nostro saluto e conforto.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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