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E poi la moda è anche terapeutica e progressista…parola di esperte

E poi la moda è anche terapeutica e progressista…Parola di esperte

Terapeutica:

Lo stile deve essere personale perché bisogna assomigliare solo a sé stesse”. Ce lo raccomanda la terapeuta Isabelle Thomas che racconta di come spesso le donne scelgano abiti e accessori legati al “personaggio” che stanno interpretando nella vita o che hanno interpretato in passato.Ancora timide studentesse o incerte neo assunte mentre si tratta di donne affermate e di successo…Altre vestite in modo triste e austero per non essere tacciate di essere delle narcisiste”. Occuparsi dei propri vestiti significa mettersi in contatto con la propria parte più intima, quella parte di sé che si rivolge agli altri.

Per le donne più vecchie la questione si complica perché da un lato non vogliono sembrare né le loro figlie né le loro madri e dall’altro il cambiamento si impone perché il corpo si modifica e i vestiti di sempre non stanno più così bene. Ma il consiglio è di non buttare via tutto, ma di portare le cose in modo differente. Negli armadi abbiamo un sacco di cose e in genere ne indossiamo solo il 20%, quindi ci sono molte possibilità di cambiare solo il modo di portare i vestiti. La scelta vincente ed etica è sempre quella di comprare cose che possano durare e che non passino di moda in un lampo”.

Però è importante liberarsi dello sguardo degli altri: molte di noi sembrano indossare degli occhiali deformanti attraverso i quali immaginano e interpretano lo sguardo degli altri. Gli abiti svelano poi anche il nostro stato d’animo: acquisto compulsivo che ci consola al momento, ma non risolve niente, abiti informi per poterci nascondere meglio e abiti che ci fanno stare meglio perché ci rappresentano perché sono in linea con la nostra personalità e ci rimandano un’immagine di noi (lo specchio e lo sguardo degli altri) che ci piace e ci sostiene.

Progressista   

Per combattere gli stereotipi all’immagine della vecchiaia, contrastare l’ageismo che si annida in molti ambiti della società, la moda è un’arma utile. Partiamo dallo scrollarci di dosso una visione dell’invecchiamento troppo medicalizzata e troppo legata alla malattia. Poi affidiamoci a degli esperti di comunicazione e a degli stilisti perché sul mercato non ci siano solo prodotti ispirati al “giovanilismo”, infine ragioniamo con economisti e sociologi sui numeri di questa transizione demografica  che vede aumentare massicciamente il numero delle persone anziane e … voilà il gioco è fatto, l’industria della moda sarà dalla nostra parte e non per buon cuore ma per convenienza economica e necessità di assecondare il cambiamento culturale in atto.

Catherine Marcadier-Saflix, esperta di “silver economy” ha aperto l’Agenzia  “En Mode Création(s)” perché pensa che partendo dalla moda, ci saranno altri settori che decideranno di contribuire a cambiare l’immagine stereotipata della vecchiaia non più adeguata a chi oggi ha compiuto 60 anni.  “la vecchiaia deve avere un’immagine più positiva e partire dalla moda significa partire da una sorta di tabù perché sembra che moda e vecchiaia non siano un binomio felice…. Ma non è così nei fatti. È certo che se i grandi marchi si limitano a utilizzare modelle con i capelli bianchi, ma con taglie e misure che di rado si trovano tra le over 60, si otterrà l’effetto opposto: frustrazione e disillusione.  È essenziale che ogni ambito venga ripensato: modelli, tessuti, metodo di vendita, perché si ha a che fare con una clientela esigente che di moda se ne intende e che è in genere fedele e non spinta all’acquisto compulsivo come le giovani. È vero che le giovani hanno un forte impatto sulle tendenze del momento, ma anche le over 60 hanno qualcosa da proporre oltre alle cose che desiderano. E poi nel 2030 ci saranno più over 65 che ventenni e quindi bisogna prendere in considerazione le aspettative di questa popolazione che sta cambiando e che è molto diversa da chi le ha precedute.

Stanno nascendo molti blog di moda per le over 65, dove si lamentano di non trovare proposte adatte per loro e infatti spesso fanno ricorso ai vestiti di seconda mano perché trovano vecchi marchi che conoscono e che incontrano il loro gusto. La globalizzazione anche nella moda rende ancora più difficile la scelta per le over 65 che sono cresciute con un concetto di moda “su misura” e quindi non così omologato e uniformante per tutti.  

La moda ha un importante ruolo sociale rispetto a quello che vogliamo rappresentare agli altri, alle altre generazioni e al mondo.  Gli abiti svelano anche l’interesse che abbiamo verso le relazioni sociali, ci parlano di isolamento, di abbandono, di solitudine e noi tutti ben sappiamo quanto lo stato di salute sia legato alla qualità delle nostre relazioni col mondo. 

Alcune aziende della moda si stanno orientando al “su misura” per attirare questa clientela: partono dal concetto che è l’abito che si deve adattare al corpo e non viceversa, cosa non scontata in un mondo che si ferma alla taglia 42. Il grosso cambiamento in atto riguarda non solo questo tema delle taglie, ma la scala di valori etici (il lavoro dei minori e la sostenibilità ambientale per esempio) su cui rifondare questo mondo. Io per esempio mi rivolgo alle scuole per stilisti dove vengono invitati esperti di varie discipline per ampliare la portata dei progetti di cambiamento. Il progetto è quindi di grande respiro: lottare contro gli stereotipi legati all’invecchiamento delle donne, salvaguardare l’ambiente, lottare contro il lavoro minorile e sottopagato, ma soprattutto rilanciare le grandi professionalità che hanno fatto del mondo della moda un importante risorsa economica che ha contribuito a creare posti di lavoro. La moda non è né frivola né futile 

 

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