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da vedere: Un eroe di Asghar Farhadi

UN EROE di Asghar Farhadi

Kafka e il De Sica di LADRI DI BICICLETTE si intrecciano nel nuovo thriller sociale e morale di Asghar Farhadi. Perché proprio di thriller si tratta, quando il maestro iraniano innesca nella realtà del suo paese un meccanismo tortuoso, che copre la verità fino a renderla irriconoscibile, indimostrabile, colpevolizzante anche quando non lo è. Alle prese con l’Iran come in questo caso, subentra anche la descrizione scivolosa di un tessuto sociale e politico dominato da una burocrazia farragginosa, da regole e leggi assurde (come avvenne in quel capolavoro che è UNA SEPARAZIONE). Rahim Soltani -un povero diavolo incarcerato per non aver potuto onorare, perché truffato dal socio, un debito- durante un permesso si trova tra le mani una borsa d’oro che potrebbe risolvere i suoi problemi.  Decide di restituirla. Sarà eroe per un giorno, finché farà comodo al sistema carcerario macchiato da troppi suicidi. Ma poi tutto gli si ritorce contro, come in incubo kafkiano che prende i contorni di un giallo, dove Rahim come il personaggio di LADRI DI BICICLETTE (anche lui ha un bimbo al seguito che, bloccato dalla balbuzie, parla e strazia con gli occhi come quello indimenticabile del film di De Sica) si dibatte tra speranza e disperazione sempre con dignità. Lo strazio procede implacabile, con un incastro quasi Hitchcockiano, che, come in IO CONFESSO, non permette alla verità di venire a galla e pure nel momento in cui affiora diventa un’arma a doppio taglio. Amir Jadidi, bravissimo costruisce un Rahim immutabile dal principio alla fine, sempre con quel sorriso di fronte alla sua Via Crucis, martire della società, dei media (anche in Iran tecnologia equivale a follia), del sistema carcerario, persino di sè stesso. Vittima sacrificale su cui il sistema Iran espia le proprie colpe, i propri torti, i propri abusi. In questo Farhadi è assolutamente spietato come sempre, demolendo la facciata di un paese che erge l’ipocrisia a sistema burocratico, il/legale e di vita. Fino a contaminare tutto persino gli affetti, che però nel magistrale piano sequenza finale, si affacciano sul buio come una luce di speranza. Gran Premio della Giuria meritatissimo al Festival di Cannes. Da vedere.

recensione di Carlo Confalonieri

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