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BABYLON di Damien Chazelle

Dura 189 minuti, ma ne avrei visti anche il doppio. “Babylon” è la più grande esperienza di Cinema maiuscolo, adulto, sfrenato, onirico, psichedelico che si possa fare nella contemporaneità. Molto vicino a “La dolce vita” di Federico Fellini.

Il Cinema che diventa Sogno e il Sogno che diventa Cinema. Non è Roma è Hollywood, ma non cambia nulla. Siamo in un luogo non geografico, in una terra sognata. E quale Sogno è più Sogno del Cinema? E allora Hollywood dal 1926 al 1952 é attraversata dalla cinepresa – mirabolante, tortuosa, simile a un viaggio sulle montagne russe dell’anima- di Damien Chazelle. Sembra a tratti il suo magnifico “La La Land”, poi l’elegia di quel Capolavoro anche qui presente e fortissima prende mille alte strade, perché stavolta Chazelle non parla d’amore, parla di morte e di quanto il Cinema la trasfiguri e punti all’immortalità.

Lo sottolinea quel dialogo da Storia del Cinema in cui Jean Smart -la deus ex macchina del gossip hollywoodiano che crea e distrugge le star- dice a Brad Pitt, divo in decadenza che non ha retto il passaggio dal muto al sonoro, quanto sia fortunato per il fatto, sì di essere finito, ma di poter continuare ad esistere dopo la morte per coloro che vedranno i suoi film fra cento, mille anni.

Il Cinema che nasce dal denaro come mostra la Mecca del Cinema nella sua dimensione più orgiastica ( la festa iniziale lunghissima e stordente a casa del Tycoon in Stile Hollywood Babilonia di Kenneth Anger con ogni vizio, overdose e peccato come a Sodoma e Gomorra) e che denaro vuole produrre, produce invece paradossalmente Sogni, Visioni immateriali, Emozioni eterne, infinite Astrazioni.

Su questa dicotomia si basa tutto l’omaggio e tutta l’analisi multidimensionale di Chazelle, che pare fare un film spettacolare oltre ogni limite oggi consentito e invece fa un film assolutamente sperimentale in tutti i sensi, senza un centro, senza una storia precisa (se non di un trio di perdenti dove oltre a Brad Pitt, svettano la divetta sacrificale e sacrificata sull’altare di Hollywood della grandissima Margot Robbie e Diego Calva che da trovarobe diventa produttore esecutivo e poi finisce nell’Inferno più assoluto dove lo conduce il mefistofelico Tobey McGuire) senza una narrazione logica, bensì un dipanarsi di immagini strepitose elettrizzanti, abbaglianti ,come in un trip allucinogeno al ritmo di musica (quasi sempre presente e bellissima) che alla fine dell’effetto ti ammazza.

E non a caso nel finale immenso, come il viaggio Kubrickiano psichedelico al termine di “2001 Odissea nello spazio” (ma qui ambientato in un Cinema, non su un’astronave) rivediamo tutto il Cinema più Grande, Assoluto e Sperimentale: il taglio dell’occhio di Bunuel, l’Anna Karina di Godard, la Falconetti della Giovanna D’Arco di Dreyer, il bambino che tocca lo schermo in “Persona ” di Ingmar Begman, la navicella di Kubrick.

E la dimensione apparentemente kolossal di “Babylon” sparisce in un colpo, mostrando la sua vera natura di riflessione estrema e finale sulla morte, sublimata dal Cinema, che, a sua volta oggi non vede il passaggio dal muto al sonoro (mirabilmente narrato come un delirio collettivo da Chazelle), ma il passaggio dallo Schermo allo streaming, dal Film alle serie.

E questa è la vera morte e il vero horror che sottende “Babylon”, magistrale magnifico immenso sogno forse finale, a un passo dall’incubo della morte del Cinema e dei Cinema, puro inconscio l’uno e puro luogo dell’inconscio collettivo l’altro.

Sostituiti dall’orripilante frustrante masturbatoria prospettiva della reclusione domestica davanti a una Smart Tv o a un computer a vedere cagate immonde, come la merda che in apertura di”Babylon” esce a cascata dal culo di un elefante, merda-simbolo di ogni illusione tossica e fregatura che l’umanità possa dare e possa darsi.

Non date retta a chi demolisce “Babylon”, sicuramente non ama e non conosce il Cinema come salvezza del Mondo. “Babylon” è forse l’apice e l’inno al Cinema sul “Viale del Tramonto” (non a caso si cita Gloria Swanson), sicuramente un capitolo di Cinema come Arte Sovversiva. Per ieri, per oggi e spero per domani.

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