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La Cicala parlante: Le parole per dirlo

Il mondo è cambiato ve ne siete accorti, lo so, anche dal divano i boomer seguono il mondo, molti poi hanno la fortuna di avere nipoti di varie età e ascoltano anche notizie di nidi, scuole elementari, tate, insegnanti, corsi vari, di prima mano, con i nipoti più grandi che fanno gli stage o i workshop, altri tipi di notizie e non sono mai quelle dei telegiornali.

Un tempo per lavorare bisognava recarsi in un posto preciso, oggi puoi lavorare da qualunque parte del mondo basta che tu sia collegato (a meno che non sia un massaggiatore o un chirurgo), ma quest’ultimo in realtà in alcuni casi può manovrare un robot in un’altra parte di mondo.

Sta davvero diventando un po’ faticoso anche per i boomer, che non si spaventano per nulla e sono aperti a qualunque novità, adeguarsi a una realtà sempre più digitale e sempre meno umana.

Perché anche se l’umano esiste è dietro un video e diventa difficile per chi si relaziona leggere sfumature, pause, occhiate e sospiri che sono poi le differenze che permettono di leggere tra le righe e che sono il vero polso della situazione, difficile usare l’empatia.

Ma esistono le parole e forse potremmo cercare di dare un piccolo contributo dal nostro divano o palestra o campo da golf o salotto e giochi di carte o anche aereo se ancora viaggiate o nave o moto all’evoluzione del linguaggio che non è una banalità ma produce piano piano un cambiamento di pensiero e quindi di società.

Che del resto sta già avvenendo,  ma non tutto nel senso buono.

Se provate a leggere Il Milione di Marco Polo faticherete a leggere l’italiano, quasi fosse un’altra lingua, oggi non è più evoluzione ma involuzione.

Da ragazzi i nostri genitori li chiamavamo “matusa” o “passeront pas l’hiver”, erano giochi ironici, oggi i nostri figli grandi e nipoti hanno un vocabolario che cambia ogni tre mesi.

“Ghostare” cioè porre fine a una relazione cessando improvvisamente ogni forma di comunicazione è l’ultimo neologismo censito dall’Accademia della Crusca.

E la dice lunga. Già Italo Calvino nel 1985 segnalava il pericolo di eccessivi cambiamenti, i vocaboli accettati sono diventati tantissimi, troppi.

Quando dico alle mie nipotine che indossano un fuseaux, loro mi rispondono: “alla tua epoca nonna, ora si chiamano leggins” e procedono a correggermi ogni vocabolo per loro desueto con altrettanti bizzarri e nuovi e divertenti per me.

Un’altra lingua, più incomprensibile di quella di Marco Polo.

Una recente ricerca condotta da Ipsos ha evidenziato che non è vero che i giovani dai 14 ai 18 anni non leggono più, leggono diverso, leggono sui fumetti in romanesco come Zero Calcare, online le graphic novel e soprattutto le parole delle canzoni.

La generazione Z dà un’angolatura differente all’approccio delle “canzonette”, non è curiosa della scoperta della musica o degli arrangiamenti,  ma segue le parole dando loro molta più importanza delle generazioni passate perché nel rap (conversazione informale), trap (idolatria di armi, droga, criminali, sessismo), e urban (artisti di colore e Hip Hop ) che sono i generi musicali  seguiti da questa generazione, non vengono scritte parole tipiche da canzone,  ma vocaboli che riguardano la  quotidianità di ogni genere della realtà odierna dei ragazzi.

Non viene eseguita nessuna critica in merito, ma fornite informazioni.

Tramite queste parole nasce un circolo largo e universale da condividere e i pensieri espressi leniscono le loro fatiche della vita, non sanno quasi nulla dei cantanti,  ma conoscono a memoria tutte le canzoni, le usano come un mantra, come una Bibbia.

Va da sé,  il vocabolario diminuisce rispetto al passato e anche l’excursus mentale è ristretto, ma è un fatto: al primo posto nella loro vita ci sono queste frasi che sono anche brevi e di effetto e facili da essere trasportate sui social che sono la loro attuale comunicazione.

Il loro amore e la loro paura.

L’insegnante di ginnastica di una nipote quindicenne ha immesso nelle sue lezioni uno spazio per la danza con relativa gara e premio finale per aiutare i ragazzi a comunicare e a stare vicini insieme e a parlarsi senza faccine.

La sciatteria della lingua va dilagando.

Del resto questi bambini si sono sentiti ripetere mille volte non solo “non accettare caramelle dagli sconosciuti” ma anche “stai attento se ti seguono, se ti fotografano, se ti avvicinano, se passi vicino a un tram, se attraversi la strada guarda davanti dietro e di lato, non bere nulla che non sia stato stappato da te”, intorno visioni di guerre, nel tempo libero cartoni violenti e horror, storie  strazianti di immigrati, uomini e donne a ogni angolo di strada che chiedono elemosina, il mondo è   diventato un inferno e le loro canzoni lo dicono. Come le favole dei piccini servono per esorcizzare.

Si abituano a vivere in un mondo violento, devastato, impoverito nella maggioranza, lasciato andare.

Hanno altro a cui pensare.

Altro che cappuccetto rosso.

A fianco di questo molte parole della nostra giovinezza o infanzia oggi sono considerate “out, off limits”, riducendo di molto anche la possibilità di essere ironici.

Un esempio per tutti la frase finale del mitico (mitico è “off limits”) film “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder, un musicista travestito da donna per fuggire dei banditi fa involontariamente innamorare il comandante di una nave, davanti alla domanda di matrimonio risponde: “non posso sposarti perché sono un uomo”, l’innamorato replica: “nessuno è perfetto”.

Frase celebre diventata poi negli anni un modo di dire oggi, in un film non potremmo inserirla.

Diversi anni fa Marie Cardinal scrisse il libro ‘Le parole per dirlo’’, un’autobiografia sulla sua malattia e il coinvolgimento della famiglia e della società descritto con parole diverse per identificare una diversa realtà femminile.

Till Neuburg ex pubblicitario esce in libreria con “Parole Sante”, un ‘inventario tematico delle ingiurie che hanno invaso prima i bagni pubblici, poi salotti televisivi, riunioni di condominio, fino alle scuole.

“Cazzo” resiste, ma oggi abbiamo direttamente dal web e “tiktok”, “goborchio” e “lurker” e “flexare”.

Muniti di elettrocardiogramma i ricercatori dell’università di Utrecht hanno fatto leggere in sequenza questi improperi a un campione di studenti notando che erano poi rimaste tracce nel loro cervello dell’emozione negativa provata.

Per difendere la nostra lingua da tutti i punti di vista in molti si danno da fare ed è persino nato un museo multimediale dedicato alla lingua italiana(mukti.unipv.it).

Lo “schwa” come l’asterisco hanno velleità di incidere sulla grammatica e semplificarla esageratamente e si distrugge musicalità, eleganza, comprensione, profondità di pensiero.

Il linguista Massimo Arcangeli dell’Università di Cagliari ha pubblicato recentemente “Le magnifiche 100, Dizionario delle parole immortali”.

Sostiene che la colpa non sia né dei giovani né dei social,  ma degli adulti.

Un sistema culturale si regge sull’istruzione, sulla formazione e sulla qualità dell’informazione giornalistica e editoriale, ambiti che oggi lavorano per una trasformazione semplicistica e a farne le spese sono proprio in ragazzi, pensando di agevolarli li priviamo del potere linguistico.

Studiare il vecchio e il nuovo delle parole e capirne il significato e i cambiamenti della società è un’ esercizio  stimolante  per migliorare, tuttavia ritengo che noi  dovremmo aiutare  non solo sulle parole nuove o sull’eliminazione di quelle vecchie, non più in linea con l’attuale modo di vivere e soprattutto di pensare, ma agire sulla loro trasformazione concettuale; non ho mai capito per esempio perché si dica “un uomo con le palle” per dire uno in gamba (non  le hanno tutti?) e perché una donna in gamba di nuovo è  “con le palle”  (che non ha) e non “con le tette”?

Le palle non sono altro che il messaggio del fatto che l’uomo è possente nel distribuire il seme, (da qui la società patriarcale) allora la donna con le tette nutre il seme appena nato, possente pure lei.

Ecco farei attenzione ai vecchi modi di dire a cui non badiamo più e invece sono importanti.

Una frase giusta già ce l’abbiamo.

Ricordo che quando facciamo una cosa sbagliata diciamo di aver fatto “una cazzata” e quando facciamo una cosa bella diventa una “figata”.

Forse sono un po’ di parte, come quando leggiamo gli oroscopi, crediamo a quelli che ci piacciono e neghiamo quelli che ci irritano ma pensare ogni volta prima di parlare invece di ripetere quello che sentiamo usare in giro sarebbe una grande piccola rivoluzione. (viva gli ossimori).

Partiamo da qui e non lasciamone passare più una.

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