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Mascherina sì o no: è una questione profonda

Mascherina sì o no: è una questione profonda 

Sono molti gli uomini, soprattutto bianchi, che sembrano considerare una dimostrazione di debolezza indossare la mascherina. Lo fanno in modo esplicito dichiarando il loro coraggio nella sfida al virus, o in modo indiretto, non indossandola o togliendola spesso…… Ma l’atteggiamento è più grave e significativo se assunto da personaggi pubblici.

Non infieriamo su Boris Johnson che è passato rapidamente da posizioni irridenti la scienza, a paladino della vita morigerata, sana e protetta, dopo avere passato un mese con l’ossigeno nel naso. Ma non è solo il presidente Trump, che, in qualunque fabbrica o ospedale vada in visita, non indossa mai la mascherina con un atteggiamento da “duro” che sfida il virus e anche le prescrizioni della Casa Bianca, (pensate a quanto è violenta la sua immagine durante le conferenze stampa quando lui è il solo a non indossare la mascherina davanti alla platea di giornalisti protetti). Bolsonaro, presidente del Brasile, sostiene a “viso scoperto” i manifestanti contro la quarantena.

Sembra che la mascherina sia un simbolo di paura e quindi non fa per certi uomini che usano il potere come strumento anti virus. Ma non si tratta di “eroi” che vanno a combattere a “petto nudo contro il nemico”, come nella miglior tradizione epica, ma di un’immagine di “cura e avere cura” che si proietta nella storica contrapposizione tra patriarcato e ruolo delle donne nella società.

In tempi come questi attuali in cui si parla tanto della necessità di rivalorizzare il lavoro di cura in tutte le sue manifestazioni e quindi rivalorizzare il lavoro delle donne e i lavori che vengono svolti principalmente dalle donne, per ricostruire una società che non riproduca i guasti di quella ante virus, rileggiamo qualche riflessione delle filosofe Carol Gilligan e Cynthia Fleury per avere una visione d’insieme. In epoche e paesi diversi entrambe hanno cercato di indagare il modo in cui il patriarcato ho imposto una gerarchia in cui le qualità considerate maschili sono superiori alle qualità legate al femminile.

“In questo universo creato dal patriarcato, la “cura” appartiene all’etica femminile: prendersi cura degli altri è ciò che fanno le donne e le persone che lo fanno come lavoro “fanno un lavoro da donne”. Le donne sono sensibili ai bisogni degli altri, vi si dedicano e … si rendono invisibili.

La cura non deve essere una preoccupazione solo delle donne, ma dell’umanità.

L’etica della cura viene svalorizzata perché le donne sono svalorizzate. L’intreccio tra la “cura” e le questioni relative alla giustizia o ai diritti sono legate in modo indissolubile all’obbligo morale di “non abbandonare”, di “non agire in modo sconsiderato o negligente”, di “non tradire l’altro”. La manifestazione dell’etica della cura, dando attenzione e voce a tutti, uomini e donne, rappresenta un atto politico e significa rispettare le persone, in contrapposizione all’approccio patriarcale che invece decide la gerarchia delle voci che vanno ascoltate e quali no. Per questa ragione l’etica della cura nel suo senso più ampio significa scegliere l’etica della democrazia.”

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