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I farmaci e le donne

Le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci: dal 20% al 30% in più rispetto agli uomini. Sono anche le maggiori consumatrici di integratori alimentari e rimedi botanici (circa il 40% in più). L’eccessivo consumo di farmaci è tra le cause delle frequenti segnalazioni di reazioni avverse (il maggior numero di ricoveri ospedalieri per questi motivi riguardano donne).

Va tuttavia segnalato che la maggiore sensibilità al rischio può dipendere da molteplici motivi: classe di medicinale, tipo di effetto avverso, età e stato fisiologico della donna. E’ noto che la maggior parte dei farmaci sono stati e sono testati prevalentemente negli uomini, infatti le donne risultano generalmente sottoposte a dosaggi di farmaci stabiliti in sperimentazioni effettuate sul modello tipo: che è un maschio di circa 70 Kg sotto ai 65 anni. Questo aspetto riveste un’importanza cruciale per una corretta politica del farmaco e per la politica del risparmio ad esso connesso. Al contrario viene sottovalutato e ciò comporta utilizzi inappropriati ed eccessivi con gravi eventi avversi dovuti a differenze nell’assorbimento, metabolismo ed eliminazione dei farmaci, proprio rispetto al genere.

Sia la FARMACODINAMICA (studio degli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci sull’organismo ed il loro meccanismo di azione) sia la FARMACOCINETICA (studio degli effetti che i processi dell’organismo hanno sul farmaco -assorbimento, distribuzione, metabolismo, eliminazione) mostrano differenze significative tra maschi e femmine.

I dati dimostrano che nella sperimentazione dei farmaci prima che essi vengano approvati e messi sul mercato la partecipazione delle donne è molto limitata; fino agli anni ’90, non risultava prevista la presenza femminile come richiesta specifica di linee guida metodologiche.

Negli studi di confronto tra farmaci e negli studi cosiddetti randomizzati (fase II e III) cominciano a partecipare anche le donne in percentuale maggiore; mentre negli studi che valutano la tossicità del farmaco e la determinazione del dosaggio terapeutico (fase I), è molto raro l’arruolamento delle donne. La partecipazione delle donne agli studi sarebbe, invece, opportuna e necessaria; dovrebbe essere incentivata perché la loro esclusione, per ragioni culturali o di ‘paura economica’, non risolve gli eventuali problemi di sicurezza ed efficacia, ma semplicemente ritarda la loro soluzione al periodo successivo: all’introduzione del farmaco sul mercato.

Tuttavia, l’arruolamento delle donne nei protocolli sperimentali è una condizione necessaria ma non sufficiente per arrivare all’equità della cura: è necessario anche che il disegno degli studi clinici preveda un’analisi di genere considerando un’interazione età-genere, poiché le differenze possono essere età dipendenti. È opportuno inoltre che, quando le differenze emergono, siano prodotte raccomandazioni genere-specifiche.

 

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