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“Lucidando i capelli d’argento”

Un gruppo di donne ottantenni scatenate

Si può pensare di vivere l’invecchiamento in modo diverso dai luoghi comuni e diversamente da ciò che era in passato, senza rinunciare agli interessi coltivati e alle vanità praticate in gioventù e nell’età adulta? Sembra di si, come spiega Ruth La Perla (New York Times 16 maggio 2019) raccontando le storie di casi di donne sopra gli 80 anni che vivono in innovative residenze per anziane.

Ciò che appare inusuale e sorprendente è il pensiero che le guida a vivere la vecchiaia, continuando a perseguire obiettivi e desideri, non rinunciando alle bizzarrie e alle loro vanità. In questo modo, limitano la tendenza alla passività che è spesso presente in modo preponderante in quella fase della vita.

I casi descritti nell’articolo sono di persone benestanti con alle spalle attività professionali di successo e quindi use a vivere vite indipendenti e appaganti, ma le scelte fatte da questo gruppo di donne ultraottantenni riferiscono di un modo di concepire l’invecchiamento impensabile fino a pochi anni fa. Ovviamente, tra persone benestanti la fase dell’invecchiamento ha sempre avuto caratteri e condizioni assai diversi da quelli delle donne che vivono in condizioni disagiate o hanno limitazioni imposte anche dal reddito. Tuttavia, il messaggio che queste donne mandano è prevalentemente culturale sociale. Il loro racconto ci dice che l’invecchiamento non è più quello che ancora la società e i luoghi comuni descrivono. Nella società che invecchia, l’invecchiamento è cambiato. Questo è il messaggio che il loro modo di vivere invia alla società.

Il gruppo di donne intervistate vivono in residenze per anziani di livello elevato, dove gli spazi abitativi occupati possono essere acquistati; per loro, vivere in questi luoghi non sembra una privazione, perché possono continuare a sviluppare le loro passioni, hobby e preferenze come nel passato. Armate anche di una buona dose di fiducia in se stesse, praticano yoga con pose guerriere, fanno piscina, vanno dal parrucchiere facendo acconciature all’ultima moda, vestono con orgoglio e anche con spregiudicatezza o a la page secondo le circostanze. “E perché non dovrei farlo?”, rivendica orgogliosamente una ottantacinquenne. Se una persona ha avuto stile fin da quando era giovane, lo stile rimane, non va mai via. E queste son donne che non si pensano o vedono “vecchie”, e perciò continuano a guardarsi nello specchio, a truccarsi, a prendersi cura del proprio corpo. Si vestono con piacere anche solo per la cena della sera e nelle residenze dove vivono non hanno smesso di avere uno spazio dedicato ai trucchi. Queste donne sono parte di una popolazione anziana il cui senso della vanità rimane intatto: e non viene certo interpretato come l’ultimo segno vitale quanto piuttosto come un segno di energia e autostima. Alcune organizzano ogni tanto dei corsi per le altre donne che vivono nella stessa residenza su moda e bellezza. In un caso, per esempio, è stata organizzata una sfilata di moda nella quale le modelle erano le donne ospiti della residenza. 

 “Vanità” è una parola con connotazione negativa, sostiene M. E. Agronin (autore del libro The end of old age. Living a longer a more purposeful life), ma in realtà ha una grande importanza, “porta al cuore della propria identità e come le persone percepiscono se stesse, come loro si vedono nel cambiamento o nel non cambiamento nel corso tempo”. E prosegue: fare degli sforzi per allenarsi, disegnare, truccarsi, vestirsi in modo non conforme agli schemi sociali stabiliti socialmente, contribuisce a sentire e capire “chi sei, chi eri, e che continui ad essere chi sei stato”. La cura nel vestire e della propria immagine sono un segno di indipendenza; secondo alcuni esperti, l’ultima frontiera di un certo (auto)controllo che hanno le persone che perdono l’autonomia è legata a come si vestono e come si guardano.

Questi nuovi modi di vivere la vecchiaia quali conseguenze hanno nel sociale?

 Il mercato, anticipando il cosiddetto “silver tsunami” che dovrebbe arrivare intorno al 2030, ha sviluppato un ampio business nel settore delle costruzioni delle residenze che offrono, secondo reddito e fasce sociali, luoghi dove vivere forniti di molti spazi (spazi per musica, teatro, ecc.) e servizi (non solo palestre, piscine, salon, ma anche servizi informatici e aiuti attraverso l’impiego dell’intelligenza artificiale). Gli spazi ricreativi e i servizi offerti oltre a permettere di vivere con agio, aiutano a poter essere il più possibile autonome.

Altri effetti, forse tra più rilevanti, si registrano in talune professioni quali l’odontoiatria, la medicina plastica, la psicanalisi, e in molte altre specializzazioni mediche. Gli specialisti di queste professioni un tempo non prestavano nessuna attenzione a coloro che avevano più di 55 o 60 anni; ora invece accolgono ben volentieri clienti di 80 anni e oltre. Tale cambiamento culturale, descritto dalla giornalista, non è certo riferito ai soli Stati Uniti ma è presente un po’ ovunque e anche in Italia.

 Credo tuttavia che il senso più profondo che se ne ricava da questo racconto giornalistico riguarda la “cultura della vecchiaia”, vista come una fase della vita da vivere, in cui si continua a fare scelte, guidare le proprie azioni, modificare i propri pensieri, e in tal modo si esercita la capacità di autodeterminarsi. Tale cambiamento culturale è spinto da una popolazione che invecchia, e il suo messaggio è destinato ad amplificarsi con l’invecchiamento della generazione dei baby boomers.

 

 

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