Le formule magiche della felicità ce le racconta Arthur Brooks, un professore della Harvard Business School che ci invita ad approfittare della quarantena a cui ci costringe la pandemia del corona virus. Certamente lo stare in casa crea una serie di inconvenienti, ma la quiete involontaria offre a molti di noi una opportunità per pensare più profondamente alla vita. Nel vortice in cui viviamo, raramente ci fermiamo a considerare cosa ci rende felici e il senso della cose, cosa possiamo fare ogni giorno per migliorare la nostra soddisfazione e la gioia di vivere; per concepire strategie in modo da superare “l’abbastanza buono” e costruire la vita che vogliamo veramente, Brooks ci propone tre equazioni per arricchire le nostre vite:
Equazione 1: inizia a parlare di benessere soggettivo e non di felicità perché è più facile da definire e valutare. Le ricerche puntualizzano che la componente genetica è enorme nel determinare il proprio “punto di riferimento” per il benessere soggettivo; è la linea di base a cui torniamo dopo che gli eventi hanno fatto vacillare il nostro umore. Gli psicologi David Lykken e Auke Tellegen stimano che la componente genetica del benessere di una persona sia compresa tra il 44 e il 52 per cento, ovvero circa la metà. Per i geni, dunque, c’è poco da fare: dobbiamo cavarcela con quelli che ci ha dato in dono la sorte. Riguardo alle circostanze, secondo Brooks, sono indipendenti da noi, e possono incidere sul nostro benessere soggettivo per una percentuale che va dal 10 al 40%. Se si vuole incrementare la propria capacità di essere felici bisogna allora puntare sulle abitudini. E qui entrano in gioco le altre formule.
Equazione 2: abitudini = relazioni umane + lavoro + elementi trascendentali della vita/fede.
La chiave è coltivare e mantenere relazioni affettuose e fedeli con le altre persone, spiega Brooks e cita lo psicologo George Vaillant, che ha seguito un gruppo di studenti di Harvard per 75 anni, fino ai loro novanta, ha sintetizzato la sua ricerca così: “La felicità è amore. Punto e basta”. E ognuno deve essere libero di scegliere in che forma lo vuole. Neppure per la famiglia (e le amicizie) esiste una ricetta univoca.
Il secondo pilastro è il lavoro, inteso come l’attività che oltre a permettere una vita dignitosa, dia alle persone la sensazione di realizzarsi in quello che fanno e aiutare gli altri.
Infine l’ultima formula, elementi trascendentali/fede. Per fede Brooks non intende necessariamente la religione, ma qualsiasi sistema di valori o filosofia di vita “attraverso i quali si possa riflettere sulle questioni più profonde della vita e trascendere la concentrazione sul proprio ristretto interesse personale per servire gli altri”. Gli esseri umani, in altre parole, hanno bisogno di qualcosa che li elevi oltre sé stessi.
Equazione 3: soddisfazione = ciò che si ha ÷ ciò che si vuole. Molti di noi nel corso della vita cercano disperatamente di aumentare ciò che hanno (il numeratore dell’equazione); cerchiamo di raggiungere livelli di soddisfazione più elevati aumentando ciò che abbiamo – lavorando, spendendo, lavorando, spendendo, e così via. Ma il tapis roulant edonistico rende tutto questo futile. La soddisfazione sfuggirà sempre alla nostra comprensione – spiega Brooks -. Il segreto della soddisfazione è concentrarsi sul denominatore dell’equazione 3: ciò che vogliamo. Anche questo è un insegnamento comune a molte religioni e filosofie. Il consiglio è usare il tempo sospeso che stiamo vivendo per iniziare a scartare tutti i desideri che non contano davvero.
(Arthur C. Brooks, How to build a life, “The Atlantic”, 9.04.2020)