IL COLLEZIONISTA DI CARTE di Paul Schrader
Voce potentissima della New Hollywood anni 70, Paul Schrader da Autore maiuscolo, ha un tema unico su cui, come i Maestri, fa sempre lo stesso film attraverso film diversissimi. Colpa e salvezza. La prima ambigua, la seconda non certa. HARDCORE, AMERICAN GIGOLO, AFFLICTION e la sceneggiatura epocale di TAXI DRIVER le vette. A cui si aggiunge IL COLLEZIONISTA DI CARTE, dove William Tell, ex torturatore ad Abu Ghraib, ex detenuto per quelle colpe, per dimenticare tutto (o provare a farlo) diventa un robot. Da un Casinò all’altro si stordisce giocando, contando le carte. Nei motel ricopre tutti i mobili con lenzuoli, per non contaminare nulla col suo peccato. Tutto asettico per soffocare gli orrori commessi. Finché nella sua non-vita ritrova in un colpo solo John Gordo, il Maggiore addestratore torturatore che la fece franca e il figlio di un’altra vittima (come lui) di quell’abominio di Stato. Decide di salvare il ragazzo, il cui padre si è suicidato, facendogli da padre putativo. Ma, come l’eroe svizzero di cui porta il nome, metterà a rischio la vita di quel ‘figlio’, intrappolato nella sete di vendetta verso Gordo. Guantanamo è l’inferno, i Casinò il purgatorio. Il Paradiso in Schrader resta escluso, ma la stessa inquadratura finale di AMERICAN GIGOLO apre alla RESURREZIONE Tolstoiana. Però il Paradiso si intravvede, in quella che è una sequenza già d’ufficio nella Storia del Cinema per potenza visiva e trasfigurazione del reale, durante la quale William e La Linda (equivalente di Lauren Hutton per Richard Gere) attraversano una fantasmagorica città di luce. Gli inferi di Abu Ghraib appaiono in fish-eye grandangolari, che riportano indirettamente alla memoria gli orrori dell’Olocausto. Il Purgatorio dei Casinò è anestesia totale, il viaggio di uno zombie da un tavolo verde a una roulette. Ripreso con un ritmo straniante stupefacente, su musiche spaesanti, solenni profonde introspettive. Un’America che potrebbe essere la Russia del Dostoevskij di DELITTO E CASTIGO o, come detto, quella RESURREZIONE di Tolstoj. Un film assolutamente magistrale, calibrato, moralmente brechtiano, di altissima levatura cinematografica e culturale. Con tre assi attoriali nella manica: Oscar Isaac (Oscar di nome e di fatto), Tye Sheridan e William Dafoe, più Tiffany Haddish formoso angelo nero dei Casinò, rivisitazione pop pantografata di Virglio e/o Beatrice. UNDICI E LODE. A Venezia 78, già in sala, apprezzatissimo dal pubblico molto numeroso.
da vedere al CINEMA .
Recensione a cura di Carlo Confalonieri