Si può fare del DOWNTON ABBEY un po’ ingessato di Julian Fellowes un film bellissimo? Si, se dietro la macchina da presa arriva un regista sensibile, struggente, immaginifico come Simon Curtis, inglese anomalo per senso di trasfigurazione dei personaggi e degli attori che li interpretano. Come dimenticare lo splendido MARYLIN con Michelle Williams, incantevole Monroe.
Stesso tocco Curtis lo porta in DOWNTON ABBEY: A NEW HERA, come se narrasse una leggenda o una fiaba rendendola viva, rendendola vera con le gioie e le tristezze ugualmente diffuse.
È’ una questione di equilibri che alcuni registi possiedono, il non andare oltre in apparenza; eppure, entrare dentro fino in fondo. Questo cambia gli sguardi, i silenzi e le battute a doppio senso di DOWNTON rendendolo meno museo, più astratto più pregnante. L’occhio di Curtis si alza infatti molto spesso verso il cielo in panoramiche grandiose, ma poi ritorna a terra e lì ha qualcosa del sublime James Ivory. Con un omaggio all’Allen dell’indimenticabile LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO coi giochi del doppiaggio. Il film è molto bello, appassiona, non è televisivo, non cede mai. E conferma Curtis direttore d’attori delicato e potentissimo. Dirigendo nello sterminato cast un trio di primedonne – il monumento Maggie Smith, l’incantevole Nathlie Baye di Truffaut e Dolan, Elizabeth McGovern magnifica (nella vita moglie di Curtis) di bellezza assoluta radiosa e un po’ sfiorita – come tre Dee scese in terra.