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Recensione di Carlo Confalonieri – “Saint Omer”

Saint Omer

Rama (Kayije Kagame) è una giovane docente universitaria di letteratura, che sta scrivendo un nuovo libro su Medea. Ma capiamo subito che la sua sarà una Medea diversa, vedendo la lezione che tiene in apertura sul collaborazionismo, con riferimenti alla Duras di “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais di cui la grande scrittrice fu sceneggiatrice. Una Medea problematica, moderna, silenziosa o parlante su alti livelli interiori come quella di Pasolini, incarnata da Maria Callas- che vediamo a un tratto nella scena dell’infanticidio, che nessuno mai rappresentò con la stessa poesia di Pasolini- nel computer che Rama si porta appresso.

In una stanza d’albergo di Saint Omer, località francese sul mare del Nord, dove si è recata da Parigi al processo per infanticidio di Laurence, altrettanto giovane, colta, di colore come Rama. Laurence abbandonò la figlia di 15 mesi alle acque del mare, come accadde in un fatto reale da cui il film prende le mosse e che scosse la Francia intera. Entrambe francesi di origini senegalesi, proprio come la regista Alice Diop qui fa il salto dal documentario alla fiction mantenendo saldissime le sue radici visive, sociali di combattente, psicologiche e culturali di intellettuale. “Saint Omer” si dipana infatti apparentemente come un film processuale, in realtà grazie all’occhio magistrale della Diop diventa un percorso tortuosissimo nella maternità (Rama è a sua volta incinta), nei suoi meandri più oscuri e inammissibili, nel deflagrare di reticenze e tabù apparentemente disumani, ma in fondo spiegabili non con la ragione, con la “follia” di cui parla l’avvocato difensore anch’ella donna (Aurelia Petit) nella sua arringa finale; parla con fermezza di donne come chimere, di cellule chimeriche che vanno dalla donna al feto e viceversa rendendo tutte le donne creature mutanti e “folli”, che in una catena universale trasmettono l’una all’altra una “follia” mutante.

Laurence (Fusaglie Malanda, regale come la Callas) sta, sul banco degli imputati come una regina, scegliendo accuratamente le parole, trasformando un delitto mostruoso in uno scavo negli abissi femminili, in una discesa agli inferi della maternità come cicatrice interiore o peccato originale della donna. Rama e Laurence diventano così, una sul banco degli imputati l’altra in mezzo al pubblico della Corte d’Assise (che nel giudice donna di Valerie Deville trova un grande indagatore/ascoltatore e un altro punto cardine) due donne allo specchio. E nel breve istante in cui si guardano e accennano a un sorriso complice rivediamo in un secondo due capolavori di rifrazione femminile come “Persona” di Ingmar Bergman e ” Un’altra donna” di Woody Allen, da me amatissimi e da poco fusi nella mia ultima regia teatrale “Anthera Persona”. “Saint Omer” è quindi una Medea speculare, universalmente moderna perché archetipica e ancestrale. Alice Diop assurge così a Maestra del Cinema. E il Gran premio della Giuria e il Leone del Futuro a Venezia, il premio Jean Vigo e la candidatura all’Oscar come film straniero in Francia sono meritatissimi.

Per vedere il trailer clicca quihttps://youtu.be/JBEh2KziYlsel ci

di Carlo Confalonieri

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