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La critica ha definito il libro “l’Iliade femminista”, definizione acuta e pertinente soprattutto per noi “ragazze” lettrici che abbiamo conosciuto l’opera di Omero solo attraverso battaglie, eroi, protagonisti maschili e donne quasi esclusivamente in secondo piano della storia narrata.

In questo libro, avvincente e commovente nel suo impianto quasi sovversivo, le donne sono le protagoniste. Sono tutte bottino di guerre precedenti, consegnate a Achille, Agamennone, Patroclo e ai loro sodali che hanno fatto della guerra la loro missione di vita.

Quelli che la nostra cultura scolastica ci aveva dipinto come valorosi eroi, uomini coraggiosi e imbattibili, qui sono spietati padroni di donne indifese, insensibili maschi senza pudore che tra loro chiamano “cose” le donne conquistate. Le abilità in combattimento, le precedenti gesta guerresche perdono spessore e valore, ridotte a fondale di un accampamento dove le donne, giovani e anziane, ex regine di regni conquistati e ancelle di principesse, camminano a testa bassa senza riuscire a guardare il mondo circostante, servono a banchetti dove l’unico pensiero è capire quale potrebbe essere il loro futuro padrone nello scambio perverso di favori tra uomini.

Accampate nella piana attorno a Troia che sta per essere espugnata, formano un’umanità dolente, terrorizzata dall’ineluttabilità del destino che le attende e per questo incapace, se non raramente e con enorme fatica, di gesti di solidarietà al suo interno. Briseide, la protagonista, vive reclusa nello spazio dell’ira di Achille, quell’”ira funesta” che ci ha introdotto ai tempi della scuola alla lettura dell’Iliade. Nelle sue orecchie incombe, minaccioso e angoscioso, il trambusto mattutino che precede la vestizione per la battaglia o il grido di guerra che gli altri uomini, con fiducia, attendono ogni mattina o Agamennone, con invidia, vorrebbe allontanare dalle sue orecchie. Solo Patroclo, legato da amore inconfessato e inconfessabile ad Achille riesce a entrare nel cuore di Briseide, quasi a voler rappresentare un mondo maschile minimamente accettabile.

Il libro riserva pochissimo spazio a sentimenti maschili positivi: c’è pietà nella struggente richiesta di Priamo di recuperare il cadavere del figlio o tenerezza nell’affetto filiale di Achille che continua a cercare la presenza della madre tra le onde. Ma è davvero poco rispetto alle prepotenze, alle sopraffazioni, alle violenze vissute come naturale quotidianità di uomini che si considerano protagonisti della storia.

Le vere protagoniste sono le donne, faticosamente legate alla difesa impossibile della loro dignità, lucidamente consapevoli del destino che incombe su di loro.

A queste donne per tutta la lettura del romanzo, e qui sta la sua bellezza, ci lega la solidarietà che non hanno potuto costruire tra loro e un affetto partecipe, quasi ringraziamento per il loro sacrificio che dà ancora più valore alle nostre conquiste successive.

 

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