Osservazioni sul PANEL SALUTE, presieduto da MAROS SEFCOVIC, svoltosi il 21/1/2022 all’interno della:
CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA
II° PLENARIA: PRESENTAZIONE DELLE RACCOMANDAZIONI DEI PANELS DEI CITTADINI EUROPEI E NAZIONALI E DIBATTITO DEI GIORNI 21 e 22 gennaio 2022.
Abstract:
I cittadini europei attraverso i panel della Conferenza sul futuro dell’Europa esprimono all’UE il messaggio “salute per tutti/accesso alle cure per tutti”. Occorre prendere atto che queste istanze vanno oltre la formulazione del diritto alla salute contenuta nella Carta dei diritti, recepita dal Trattato di Lisbona, e nel TFUE (art. 168 e 169). In primo luogo la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe accogliere il principio che la tutela della salute costituisce un diritto del cittadino anche al livello europeo, e che questa tutela è da perseguire inserendo la tutela della salute tra le competenze concorrenti dell’Unione.
Anche a causa della pressione della pandemia – di cui l’UE si è fatta carico, pur nei limiti delle sue competenze attuali – si pone con urgenza il problema di rafforzare i sistemi sanitari dell’UE che ora sono di competenza esclusiva dei singoli stati membri. A questo proposito va sottolineato che il principio che sta nei trattati è quello della sussidiarietà “verticale”, che dovrebbe includere non solo gli Stati ma anche gli enti territoriali minori (es. regioni) a cui spesso è affidata la gestione del Servizio sanitario. Questo principio di sussidiarietà dovrebbe ammettere l’intervento dell’Unione sia attraverso gli Stati e le unità territoriali minori, sia in forma diretta ove utile e necessario, come la lotta alla pandemia ci ha insegnato.
La Conferenza sul Futuro dell’Europa inevitabilmente porta a canalizzare le istanze dei cittadini europei sotto forma di “raccomandazioni” all’UE che rafforzano le competenze attuali, ma esprime anche degli imput importanti per la costruzione della casa comune europea.
In vista di questa prospettiva, l’UE dovrebbe esplorare tutte le strade per intervenire, fin da ora, a tutela dei sistemi sanitari pubblici europei. Là dove sono attive nel campo della sanità delle società private, occorre garantire sia la trasparenza quanto agli assetti proprietari sia il monitoraggio con adeguati controlli anche a livello europeo, allo scopo di assicurarsi che i privati a ciò abilitati adottino costantemente strategie operative coerenti con il perseguimento del diritto alla salute, evitando il ricorso a procedure che ne mettano a rischio la tutela per ragioni legate al profitto.
I servizi sanitari pubblici sono un patrimonio europeo dal valore inestimabile non solo per dare risposte di salute, ma anche per colmare le diseguaglianze tra i cittadini europei. L’UE potrebbe rafforzare fin da ora le sue linee di azione attuali, sottoponendole a verifica di coerenza con l’attuazione dell’infrastruttura delle libertà e dei diritti che sono posti a fondamento dell’UE.
A questo proposito, si propone una riflessione su due versanti: uno relativo al diritto dei cittadini all’informazione e uno che interpella l’Autorità della concorrenza.
Premessa:
IL 21/1/22 sono pervenute le conclusioni solo di alcuni panels nazionali, ma si sono sentite varie voci dei rappresentanti dei panels dei cittadini europei. L’imminenza della chiusura della Conferenza induce a considerare quello che è emerso il 21 gennaio come un “campione abbastanza rappresentativo della sensibilità europea in materia di salute”
Obiettivo delle osservazioni:
fare dei rilievi su quello che c’è e su quello che manca nella sensibilità e nella percezione dei cittadini europei (e forse, mi permetto di dire, in qualche caso anche nelle istituzioni europee). Mi riferisco in particolare al tema di uno dei quattro raggruppamenti delle proposte del panel, suggerito da M. Sefcovic, quello che riguarda: IL RAFFORZAMENTO DEI SISTEMI SANITARI NELL’UNIONE EUROPEA.
OSSERVAZIONI
La commissaria, Stella Kyriakides, ha evidenziato quali sono le risposte dell’Unione europea e ha detto che è possibile rafforzarle già da ora senza cambiare i Trattati. Tutto encomiabile (e non sufficientemente percepito dall’opinione pubblica europea) se si considera che il perimetro di azione dell’UE è rimasto quello, privo di competenze condivise, tracciato da uno dei protocolli del Trattato di Maastricht. Credo che la Commissione europea abbia fatto miracoli per utilizzare tutte le sue possibilità in questo versante di azione, anche in presenza della pandemia di covid.
IL RAFFORZAMENTO DEI SISTEMI SANITARI EUROPEI
Molto positivo l’accento largamente condiviso su: salute per tutti/accesso alle cure per tutti e per maggiore investimento a favore della salute mentale. Anche la pandemia ha dimostrato che occorre unire le forze dei paesi membri e che ci sono dei passi avanti urgenti da fare per attribuire più competenze all’UE anche nella forma delle competenze condivise. Da parte dei cittadini europei c’è ora una domanda di salute che va oltre la formulazione (del diritto alla salute) contenuta nella Carta dei diritti (recepita dal Trattato di Lisbona e da considerare alla pari con i Trattati TUE e TFUE) e nel Trattato sul Funzionamento dell’UE all’ art. 168 (Sanità pubblica) e all’art.169 (protezione dei consumatori, anche a tutela della salute). Suscita perplessità il fatto che nei contributi del panel non si metta in relazione l’istanza precedente con l’allargamento alle competenze condivise. Se non per dire che ci sono disparità tra gli stati europei nel fornire risposte di salute e che dovrebbero essere colmate. Come e da chi? Per ora sono i singoli stati membri che, con i loro servizi sanitari, sono chiamati a rispondere. Non sono previste ingerenze in senso stretto da parte dell’UE all’interno dei loro servizi sanitari.
Concordo con l’intervento di Patrizia Toia che rilancia l’importanza per l’UE di recepire l’istanza dei cittadini europei che chiedono di ampliare le competenze condivise in materia di salute (questione ancora troppo poco percepita dall’opinione pubblica).
Vedo con una certa perplessità che il tema di una politica industriale europea in campo sanitario (per i farmaci come bene comune, ma che si potrebbe allargare a dispositivi medici, apparecchiature diagnostiche e chirurgiche, ecc.) è ancora poco maturo, tanto che l’on. Patrizia Toia ha dovuto farsi strada sull’argomento (avvertito da parte dell’opinione pubblica come limite dell’UE perché è dipendente da Paesi extra UE) auspicando un ampliamento della raccomandazione 40 (l’ampliamento delle competenze dell’EMA) che lei ha riformulato in direzione della creazione di una nuova Agenzia Europea pubblica ad hoc per una politica anche di produzione dei farmaci ( come bene comune).
Sono molto preoccupata per le pochissime considerazioni e valutazioni sulla capacità di risposta dei singoli sistemi nazionali, in quanto sistemi MISTI pubblico privati (di varia composizione) alla domanda di salute dei cittadini. Qualcuno ne fa cenno nel panel. Penso all’intervento di Petersen che sottolinea la necessità di tutela dei sistemi sanitari europei contro la concorrenza privata. Tuttavia non c’è consapevolezza su come i singoli servizi sanitari nazionali sono fatti realmente, su come funzionano, su quali siano i soggetti privati che vi agiscono e a quali interessi siano legati.
Né sui processi di concentrazione di capitale che stanno avvenendo in sanità. E quindi non c’è consapevolezza sull’ impatto di questi processi sulla capacità dei Servizi sanitari nazionali di funzionare e di dare risposte ai cittadini. Ciò va detto a prescindere dalla pandemia che ha messo in risalto i pregi dei sistemi sanitari pubblici europei, ma ne ha anche sottolineato i limiti, già presenti prima della pandemia. L’Unione Europea non ha risparmiato “grant di ricerca” su questi temi, ma a mio avviso, almeno per quanto riguarda l’Italia, i risultati sono modesti, se si considerano le loro ricadute in termini di analisi fino alle soglie della pandemia.
A giudicare dal taglio degli interventi del panel, temo che il servizio sanitario pubblico di ogni paese europeo, quello che dovrebbe rispondere a tutti, rischi di essere definito “pubblico” solo in quanto finanziato dal denaro pubblico (destinato alla componente pubblica e a quella privata) e che si dia per scontato che continui ad esistere in virtù di vari automatismi evocati fideisticamente, ma ignoti nel loro funzionamento e nei loro effetti reali.
Dagli interventi del panel non emerge il nesso tra quello che i cittadini hanno già capito e sperimentato sulla loro pelle e il fatto che per ora è dallo Stato a cui appartengono che devono pretendere la garanzia della permanenza e del rafforzamento del servizio sanitario pubblico.
Il processo di privatizzazione dei servizi sanitari dei paesi europei è avanzato.
In assenza di prospettive ravvicinate di ampliare le competenze condivise in materia di sanità, l’opinione pubblica dovrebbe essere aiutata a capire che non basta immaginare come articolare ordinatamente nel tempo gli steps degli avanzamenti, come si può fare in un panel. L’opinione pubblica deve essere aiutata a capire che la difesa di un bene comune europeo come la salute passa dal fatto che al momento gli interlocutori sono i singoli stati.
LA MIA TESI
E’ fin da ora che i cittadini europei devono essere aiutati dall’Unione europea a difendere i sistemi sanitari europei intesi come beni comuni, conservando e rafforzando la loro organicità e integrazione al fine di perseguire interessi pubblici. Ecco qualche focus per le istituzioni europee in proposito:
A – Vista dall’Italia, la realtà che i cittadini sperimentano per curare la salute da qualche anno, già prima della pandemia, è che le prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale si vanno riducendo. Infatti, i tempi di attesa sono lunghi e occorre affrontare il peso di una elevata mobilità territoriale per trovare i servizi. Spesso si va molto oltre il perimetro della rete dei trasporti pubblici locali anche per visite specialistiche ed esami di routine. Chi può permettersi economicamente di curare la sua salute, acquista le prestazioni dai privati. Questo ha enormemente e rapidamente sviluppato l’offerta di servizi da parte della componente della sanità privata soprattutto negli ultimi anni, quando sono avvenute importanti operazioni di acquisizione e concentrazioni di proprietà.
Per i cittadini questi processi sono difficili da capire e monitorare perché i proprietari delle società private che operano in sanità non sono identificabili attraverso strumenti diffusi come internet e tantomeno lo sono dalle carte dei servizi che si trovano dentro alle strutture private, che sono diventate degli opuscoli pubblicitari a vantaggio del soggetto privato.
Quindi dall’Italia e forse anche dagli stati europei, si vedono due processi: a) l’allargamento e l’approfondimento delle diseguaglianze nell’accesso alle cure per la propria salute; b) il fiorire di una offerta diversificata di servizi privati – in parte in regime di SSN e in parte acquistabile direttamente o attraverso assicurazioni e fondi sanitari – di cui il cittadino non percepisce la qualità e l’appropriatezza. Infatti, oltre alla componente pubblica (ora molto penalizzata dal covid perché è il terzo inverno che fa fronte alla pandemia con l’obbligo di disarticolare i servizi ordinari in funzione del covid), il cittadino trova l’offerta di soggetti accreditati e contrattualizzati dal Servizio sanitario regionale e anche l’offerta di soggetti solo autorizzati (non controllati) che si rivolgono direttamente al mercato con prezzi concorrenziali con i ticket. Il cittadino non ha strumenti per distinguerli e per valutare la qualità di quello che gli viene offerto, e immagina una realtà che non c’è: ovvero che sia tutto controllato o controllabile dalle autorità sanitarie regionali o nazionali. Ma l’Unione europea fin da ora potrebbe stabilire dei vincoli di informazione che i privati devono rispettare. Perché ci sono vincoli sull’etichettatura ad es. del formaggio che mi dicono chi lo produce e dove lo si produce e non debbo sapere chi è il proprietario della struttura privata che mi fà la Tac o mi fornisce un altro servizio sanitario (o assistenziale) e non posso prendere atto della catena proprietaria che lo riguarda e che gestisce in ultima analisi a chi e in quale paese finiscono i profitti di questa attività? Penso che questo diritto all’informazione debba valere nei confronti di tutti i privati, anche di quelli convenzionati con il Servizio Sanitario regionale o nazionale.
B – Sulle questioni introdotte al punto A, pendono i verdetti dell’Autorità nazionale della concorrenza. In Italia a mio avviso questa Autorità (forse anche le altre Autorità nazionali?) tratta i soggetti pubblici e privati che operano in sanità come se appartenessero ad un comparto che produce beni e singole prestazioni, in nome del principio della concorrenza. Su questa falsariga, la Regione Lombardia ha addirittura oltrepassato il principio della concorrenza e con la recentissima l.r. 22/2021 ha scritto nei principi del sistema sanitario lombardo una cosa sorprendente: “che pubblico e privato sono equivalenti”! Ma il servizio sanitario nazionale/regionale è una macchina estremamente complessa che produce servizi intesi come “mezzi” (tra cui anche le prestazioni ad es. della diagnostica e della chirurgia) per curare la salute e non è assolutamente comparabile con altri comparti produttivi complessi, come ad es. quelli bancari, assicurativi, dei trasporti, ecc. che sono chiamati a produrre servizi intesi come “risultati”.Trattandosi di salute, cioè di un bene pubblico europeo da tutelare e fin da ora da rafforzare tra i diritti umani, perché l’Autorità della concorrenza, nazionale ed europea, non integra fin da ora il suo approccio per almeno monitorare la diffusione delle composizioni proprietarie delle società private che operano in sanità nei singoli paesi e richiama l’attenzione della politica sulle tendenze in atto in Unione europea? Perché solo ora siamo coscienti che è una debolezza per le industrie europee essere estremamente dipendenti da quelle di altri continenti – ad esempio per la componentistica – e non abbiamo un disegno comune su come i sistemi sanitari europei vanno affrontando le risposte di salute ai loro cittadini attraverso società private e multinazionali? Agli occhi dei cittadini, le società della sanità privata sembrano comportarsi con la saggia strategia di non suscitare nei loro concorrenti una reazione tale da indurli a rivolgersi all’Autorità nazionale della concorrenza con l’accusa di “eccesso di posizione dominante” o simili. Sembra che il mercato europeo della sanità privata venga diligentemente e oculatamente spartito in modo che l’Autorità della concorrenza dorma sonni tranquilli. Faccio un esempio che vale, con altri soggetti privati, anche per altre regioni Italiane. Se il cittadino europeo abita in Lombardia ha molta probabilità di aver a che fare con la Synlab, con sede in Germania ma di cui ora è proprietario un Fondo inglese, il Cinven. Se invece il cittadino europeo abita in Piemonte, per prestazioni analoghe ha molta probabilità di rivolgersi ad Affidea, che è di proprietà dell’italo svizzero Bertarelli e forse non solo. Sia Synlab che Affidea convivono nelle due regioni, ma in dosi opportunamente calibrate e convivono con altri soggetti privati concorrenti, ma tutti probabilmente in dosi omeopatiche tali da evitare che l’Autorità della concorrenza nazionale sia chiamata ad intervenire. E se non interviene l’Autorità della concorrenza nazionale, perché mai dovrebbe intervenire quella europea?
E’ verosimile ipotizzare che siano le autorità pubbliche locali degli Stati membri – istituzionalmente deputate a presidiare i sistemi sanitari pubblici – quelle che aprono il mercato della salute ai privati. E sono le multinazionali ad avere interesse che i loro interlocutori siano nazionali e locali, perché in questa fase, ciò può facilitare la pervasiva ma accelerata sostituzione dell’offerta pubblica con quella privata. La consistenza delle risorse pubbliche che in UE viene destinata a finanziare la sanità è un tesoro molto attraente per le multinazionali di ogni dove. La penetrazione dei soggetti privati nel mercato della salute europeo, procede indisturbata in modo capillare e pervasivo, di Stato in Stato, e così facendo si rischia di svuotare dall’interno i servizi sanitari pubblici. Il privato, che dovrebbe essere integrativo, rischia di diventare sostitutivo del pubblico e a quel punto un servizio pubblico sanitario rischia di non essere più gestibile a fini pubblici.
C – La dipendenza dai soggetti privati da parte di servizi pubblici importanti come il servizio sanitario (nazionale o regionale), dovrebbe essere studiata e monitorata come un fenomeno europeo a sé. Non è una appendice del discorso europeo che va maturando sulla produzione dei farmaci o a proposito degli interventi a difesa della salute pubblica e degli alimenti, come quelli relativi alla pandemia in corso. Credo che i cittadini europei vogliano almeno sapere ad esempio, se i loro servizi sanitari nazionali sono diventati un terreno di caccia per multinazionali dell’Unione europea o per società esterne o di altri continenti. I processi di acquisizione e di fusione da parte di aziende che operano nel mercato della salute meritano l’attenzione dell’Autorità della concorrenza perché in questi anni circolano capitali importanti in questo settore che è considerato particolarmente remunerativo. La salute dei cittadini europei è un bene comune che deve esser tutelato anche per colmare le crescenti diseguaglianze.
D – Molto preoccupante a mio avviso è il fatto che la sussidiarietà sia considerata un ingrediente dell’Unione europea ormai ampiamente metabolizzato, ma in modo anche ambiguo, da mettere nella cornice di qualsiasi politica. Un conto è parlare della sussidiarietà prevista e disciplinata nei Trattati, che è solo quella verticale e un conto è parlare della sussidiarietà orizzontale pubblico/privato. Quest’ultima non mi pare sia prevista dai Trattati ma è una prassi veicolata dalla stessa Unione Europea attraverso le modalità di accesso ai fondi europei, attraverso le linee di finanziamento della Bei (Banca europea degli investimenti) e indirettamente finisce per esserlo con il programma Next Generation EU. In che modo a livello di Unione Europea si vanno affrontando gli effetti della combinazione di questi due versanti della sussidiarietà che l’Unione Europea veicola? Per esempio, sulla tenuta dei servizi sanitari nazionali nell’operare a fini pubblici? Per esempio, per verificare l’ipotesi che proprio il consolidamento degli interessi privati nel campo della sanità sia all’origine della riluttanza degli Stati ad aprirsi a competenze condivise in materia di sanità all’interno dell’UE nonostante la pandemia di Covid 19 dimostri che è positivo unire le forze per difendere la salute dei cittadini? Per esempio, per verificare se l’Autorità della Concorrenza, a causa del perimetro delle sue competenze, non rischi di entrare in conflitto con la costruzione di quella infrastruttura dei diritti umani e delle libertà che è il fondamento dell’Unione Europea?