Le RSA sono improvvisamente finite sotto i riflettori senza che se ne conoscesse il profilo organizzativo e funzionale. Noi, come RSA Casa di Industria (Brescia), questo stesso profilo lo stiamo ripensando, sotto la spinta di diversi fattori, trascinati dall’invecchiamento della popolazione e nei pesanti limiti in cui operiamo, come ad esempio il non adeguamento dei trasferimenti pubblici, la pesante burocratizzazione, l’aumento dei bisogni sanitari ed assistenziali degli ospiti, le rette per gli ospiti ecc.
Le Fondazioni bresciane sono attori convinti della necessità di ridisegnare la nostra offerta nella filiera di un sistema integrato di servizi per la non autosufficienza. Ne è una prova la nostra pronta attivazione quando l’amministrazione comunale ci ha chiamato per l’accreditamento del SAD o per investimenti mirati di nuovi servizi territoriali alla quale abbiamo risposto con convinzione, nelle specificità e risorse di ognuna, e oggi siamo in grado di rilanciare il Piano di Zona con proposte migliorative.
Le strutture RSA sono occupate da persone molto anziane (in Lombardia il 79% ha più di 80 anni) e gravemente non autosufficienti (in Lombardia il 94%), così come è maggioritaria la presenza di donne che rappresentano i due terzi dei residenti. Di conseguenza il livello dell’offerta è fortemente sanitarizzato (soprattutto in Lombardia).
Nell’immaginario diffuso rimane invece forte l’idea che le RSA siano una risposta alla solitudine o ad altre ragioni che impediscono alla persona anziana di continuare a vivere nella propria casa, magari colpevolizzando figli e coniugi di “abbandono dei vecchi”, quando invece la popolazione largamente maggioritaria sono persone ospiti delle RSA nelle classi SOSIA 1-4 [1]per le quali l’assistenza appropriata si sposta verso l’ambito delle cure palliative (Giunco, 2016).
Tuttavia, le ricerche internazionali come quella curata da Fondazione Cariplo[2] indicano che molti Paesi in Europa non si sono limitati ad intervenire nelle situazioni più compromesse, che richiedono un elevato carico assistenziale, ma hanno pianificato riforme per accompagnare le esigenze abitative, sociali e di cura lungo il corso della vita, modificando l’habitat delle persone anziane prima che progettare servizi. In Italia, l’alternativa al ricovero sono solo le badanti a cui aggiungere poche ore di servizi domiciliari di erogazione comunale (SAD) o sanitaria (ADI, RSA aperta), con una ridotta capacità di sostenere una buona qualità della vita e ritardare la necessità di servizi dedicati.
Con la pandemia il futuro si è fatto più urgente. Demografia ed epidemiologia stanno disegnando il futuro anche della nostra città: aumento di anziani e aumento anche di grandi anziani fragili.
Ma anche mutamento negli stili di vita, scelte e strategie familiari, scoperte della medicina ecc. daranno una specifica configurazione all’invecchiamento.
Intanto le domande:
Le situazioni di debolezza sono esplose: non solo risorse insufficienti, ma anche insufficiente attenzione da parte delle istituzioni e del management sanitario verso le potenzialità dei nostri servizi.
Attualmente i dati NNA Cergas evidenziano: circa 3milioni di over 65 presentano un tasso di copertura dei servizi del 36%. Quasi il 70% delle persone meno autonome sono curate a casa in maggioranza da donne che hanno anche un carico lavorativo e da badanti. Si entra in RSA quando l’anziano è molto compromesso, quando le famiglie con badante non riescono più a sostenere la cura e accudimento, e in un vuoto di servizi di orientamento e counselling per trovare risposte adeguate.
Dobbiamo abbandonare qualsiasi retorica e metterci tutti a lavorare nel sistema di cura e di assistenza.
Inoltre, abbiamo bisogno di adeguate lenti di lettura di fenomeni che sono complessi: il futuro dei vecchi e vecchie nella nostra città richiede approcci multidisciplinari e regie programmatorie.
Le ricerche sulla realtà: abbiamo commissionate ricerche, partecipiamo come associazioni di categoria a raccolta dati, abbiamo presentato proposte (Terzo rapporto Cergas, Proposte per il piano ripresa e resilienza, indagine qualitativa con la Cattolica di Milano e l’osservatorio LIUC di Castellanza). Il 60% del campione conferma la bontà del servizio ma il 25% si ritira dalle liste di attesa.
Sfide di sistema. Si sono affrontati + costi e – domanda:
Nei paesi europei European Ageing Network si osserva che i sistemi con una rete di servizi con componente sanitaria e sociale che si integrano, con standard assistenziali aggiornati e minori retaggi culturali, e servizi di comunità con il coinvolgimento delle famiglie, reggono meglio l’impatto dell’invecchiamento.
Che sia necessario che la società civile assuma il processo di invecchiamento come una normale evoluzione dell’esistenza e gli attribuisca la dinamica dello sviluppo della vita è evidente, anche senza aspettare le pandemie. Così come è palese la generalizzata difficoltà delle RSA a rispondere alle complesse e specifiche domande di cura e di senso dell’invecchiare senza una corresponsabilità della comunità.
Rsa per ospiti accolti come persone.
La plasticità delle nostre esistenze: Ageing is lifelong ( Onu 2002). Vita fatta di tante componenti, che la vecchiaia non omogenizza, non cancella, anzi porta a compimento. anche la psiche offesa è sensibile a malattie, farmaci, alimentazione, sguardi, carezze, amore…
Incontriamo anziani e anziane con una gravità sempre più marcata delle condizioni di salute, soprattutto donne, disabilità somatica e psichica. Ci troviamo in un guado fra compiti clinici, compiti assistenziali ovvi ed impellenti ed altri meno ovvi che nascono da nuove coorti di vecchi e vecchie e da mutate sensibilità.
Medicalizzare le RSA: ma fino a che punto il gesto clinico, l’atto assistenziale può rispondere da solo a dare un senso all’esistenza di chi non vive più nella propria casa?
Dobbiamo coinvolgere la comunità a vari livelli per pensare a luoghi accoglienti, capaci di dare senso al tempo. L’ospite porta una domanda di senso, con tutto il portato della sua vita che nessuno di noi vorrebbe vedere annullata, anche in condizioni psicofisiche gravi.
Più che la logica sanitaria è la logica della cultura della cura che deve evidenziarsi, trovando un equilibrio fra comportamenti clinici ed umani, che sono diversi da ospite ad ospite.
“Contenitori di cristallo” li definisce Trabucchi, dove la cura delle fragilità consente alla bellezza del cristallo di sopravvivere con un senso di indipendenza, autostima e benessere, dove curare l’abbigliamento e mettere qualche goccia di profumo, accogliere le paure, lenire il dolore, è un ambito di lavoro complesso che richiede professionalità di alto livello. Le relazioni intime che si creano nelle nostre strutture, anche in tempi di isolamento da Covid, confermano che le piccole potenzialità di ogni ospite va rispettata e rinforzata.
La vita dell’anziano è la vita di una città intera, non solo perché percentualmente arriveranno ad essere un terzo degli abitanti del nostro Comune, ma perché si costruisce in relazione con le altre età della vita.
Giovani ed adulti che, se saranno fortunati e fortunate, invecchieranno.
Elisabetta Donati, Presidente Fondazione Casa di Industria Onlus di Brescia, febbraio 2021
[1] Una presenza così elevata di tali caratteristiche, specie negli utenti lombardi, può essere spiegata anche dal fatto che il sistema SOSIA di remunerazione della quota sanitaria regionale, fraziona il contributo in otto classi collegandolo alla gravità secondo dei parametri valutati dal sistema stesso. Ciò ha indotto le RSA, per rimpinguare le ridotte entrate, ad accogliere utenti al livello massimo di non autosufficienza, finendo per assumere il profilo di strutture sanitarie per lungodegenza a media o elevata intensità sanitaria. Inoltre, la Regione ha offerto alle RSA la possibilità di accreditarsi per accogliere utenti ad elevata fragilità (SV, SLA) offrendo loro una tariffa giornaliera elevata.
[2] F. Giunco, Abitare leggero. Verso nuovi modelli di residenzialità per anziani, Fondazione Cariplo, I quaderni dell’Osservatorio, Milano 2014.