La pandemia da Covid-19 ha influenzato e continua ad incidere su molti aspetti della vita quotidiana delle persone.
L’impatto sulle donne merita una particolare attenzione sia in termini di rischio immediato, se si considera ad esempio la grande percentuale delle contagiate (circa il 70%) per via del loro ruolo in prima linea nella sanità e nelle attività sociosanitarie, sia in termini di impatto secondario. Per impatto secondario si intende il documentato aumento delle violenze domestiche, le difficoltà ad intraprendere percorsi di salute nei consultori, sempre più depauperati, ad accedere a procedure di interruzione di gravidanza, a conciliare una nuova situazione di lavoro (o di non lavoro) da casa, reso ancor più difficile dalla presenza dei figli con notevoli necessità di aiuto per la scuola e per le condizioni di isolamento. Tutto questo si associa in modo stridente alla grande sproporzione di rappresentanza delle donne nelle sedi istituzionali che affrontano le modalità di gestione dell’epidemia, solo in parte sanate ora dal Presidente Conte dopo i numerosi appelli provenienti da più parti del mondo culturale, scientifico, politico e sociale femminile. Questa emergenza ha avuto la funzione, in certi settori drammatica, di far esplodere aspetti noti ma sicuramente tenuti sopiti, disconosciuti, trascurati.
Per poter comprendere, in un’ottica di genere (l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile), in modo il più possibile corretto e fedele l’impatto di un evento epidemico come quello che stiamo vivendo, è però necessario avere una raccolta di dati disaggregati per sesso (l’insieme di caratteristiche biologiche acquisite alla nascita) e genere.
L’Italia è tra i sei paesi del mondo che rilevano i dati di contagio e mortalità disaggregati per sesso. Questo è un aspetto molto importante per valutazioni attuali, quali la conoscenza dell’incidenza della malattia, la sua distribuzione sul territorio, il rischio di infezione e dei meccanismi biologici e sociali alla base delle differenze di sesso, genere, età, ma anche per attuare strategie future dal punto di vista preventivo rispetto all’andamento clinico dell’epidemia, ad esempio con una maggiore prevenzione e più precoci e intensivi trattamenti specifici per donne e uomini per determinati fattori di rischio come età, comorbidità, condizioni lavorative, sociali ed economiche.
Da qui consegue che i dati finora pubblicati sono da considerare con una certa attenzione, poiché l’approccio ad essi deve essere multifattoriale.
Se ad esempio parliamo di tasso di mortalità, (e già sappiamo che la percentuale che ci viene data dipende da quanti reali contagiati ci sono e quanti tamponi sono stati fatti, soggetta quindi a variazioni notevoli), la percentuale é doppia negli uomini rispetto alle donne. Dal punto di vista biologico sono in corso studi da cui stanno emergendo significative differenze di tipo genetico e ormonale, ma i risultati biologici non sono gli unici a concorrere alle differenze fin qui osservate. Sappiamo che gli uomini hanno un’aspettativa di vita minore, fumano e bevono più delle donne così come hanno maggiori problemi cardiovascolari e broncopolmonari. Di converso abbiamo anche visto che le condizioni lavorative, cioè la presenza massiccia delle donne nella cura in prima linea, hanno determinato un tasso di contagio superiore agli uomini (all’inizio della pandemia era il contrario).
Inoltre, sono da conoscere i dati di infezione e di mortalità per sesso e genere nelle fasce di età più avanzate, laddove alcuni fattori biologici incidono in maniera minore (ad es fattori ormonali) e prendono il sopravvento aspetti più ampi e complessi, quali le condizioni socioeconomiche, l’organizzazione sanitaria, gli stili di vita. Mentre sui dati di infezione è possibile valutare solo i casi sintomatici sottoposti a tampone, poiché una parte di popolazione piuttosto ampia non ha eseguito questo test, che andrebbe inoltre ripetuto a distanza di almeno 15 giorni nelle fasce più a rischio, è invece possibile valutare i dati di mortalità per sesso grazie alla pubblicazione dell’ISTAT riferiti al primo trimestre del 2020 che riguardano 6.866 comuni (87 % dei 7.904 complessivi). Si tratta della prima volta che l’ISTAT diffonde questa informazione riferita a un numero così consistente di comuni. L’ampia base dati, relativa all’86% della popolazione residente in Italia, consente di valutare gli effetti dell’impatto della diffusione di Covid-19 sulla mortalità totale per genere ed età nel periodo iniziale e di più rapida diffusione del contagio: marzo 2020. Il 32% dei decessi totali ha coinvolto il genere femminile. L’eccesso di mortalità più consistente si riscontra per gli uomini di 70-79 anni, i decessi cumulati dal primo gennaio al trentuno marzo 2020 aumentano di circa 50 punti percentuali rispetto allo stesso periodo della media 2015-2019; segue la classe di età 80-89 (+ 44%). L’incremento della mortalità nelle donne è invece più contenuto per tutte le classi di età; raggiunge alla fine di marzo il 20% in più della media degli anni 2015-2019, tanto per la classe di età 70-79 che per la 90 e più. Nel confronto delle curve che indicano una percentuale di mortalità maggiore nella classe di età >90 delle donne e nelle RSA è verosimilmente dovuto al numero maggiore di donne in questa fascia di età.
Attenzione di genere va posta nella scelta dei trattamenti e nella somministrazione del vaccino quando sarà disponibile. È ampiamente dimostrato infatti che le risposte e le tossicità alle terapie e ai vaccini sono molto differenti negli uomini e nelle donne. Lo sviluppo della medicina di genere e l’attenzione alle sue relazioni con tutti gli aspetti della salute e del benessere pubblico è una componente fondamentale per rendere efficace ed equo il sistema sanitario sia a livello nazionale sia a livello globale e di ciò i governi e le organizzazioni mondiali che si occupano della salute devono tenere conto e lavorare affinché tale cultura permei qualunque aspetto della salute pubblica e della vita sociale. L’esperienza della pandemia da Covid-19 in questo senso può essere un’opportunità.
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