Nel mese di gennaio 2022 si è concluso il progetto “IL DIRITTO DI ESSERE FRAGILI: NUOVE ATTENZIONI ALLA DEMENZA” sostenuto dal Fondo di Beneficenza di Banca Intesa Sanpaolo e realizzato a Brescia dalle RSA Fondazione Casa di Industria Onlus e Fondazione Brescia Solidale Onlus con il supporto scientifico dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia.
Ho avuto l’opportunità di partecipare al coordinamento e al monitoraggio del progetto che si è realizzato durante il lungo periodo di emergenza sanitaria per la pandemia Covid-19, in quel “tempo sospeso” di grande sofferenza, complessità e disorientamento per le persone in particolare anziane e fragili, e per le loro famiglie, le organizzazioni sanitarie-socio-assistenziali ed economiche. Ne vorrei parlare con voi convinta, come sono, che azioni concrete di miglioramento del benessere delle persone fragili siano possibili (forse ancor più necessarie) anche in condizioni di crisi. Il progetto è stato per me un’occasione di crescita che mi ha fatto avvicinare con uno sguardo ampio e maggiori strumenti conoscitivi al tema della relazione e cura delle persone affette da Alzheimer.
Ho appreso con il progetto che il tema delle demenze rappresenta oggi una delle maggiori sfide per i sistemi sanitari; nel prossimo ventennio i casi nella popolazione sono destinati a raddoppiare fino a raggiungere nel nostro Paese (come informano le ultime stime delle ricerche nazionali e internazionali) circa i 2,5 milioni di persone nel 2040. Ad oggi secondo l’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’Italia che è ancora il Paese più longevo d’Europa (il 22% della popolazione è over 60 anni) vedrà un progressivo e inevitabile aumento delle patologie età-correlate, tra cui le demenze.
Una prospettiva certa, quindi, una presenza in aumento che è parte del processo di invecchiamento ed una problematica personale-famigliare che molte e molti di noi affrontano direttamente.
Rompere le solitudini della malattia con una comunità amica delle persone con demenza.
In questa direzione si sono mossi gli obiettivi del progetto “Il diritto di essere fragili”. La sua principale finalità è stata diretta a promuovere azioni utili ad aumentare la consapevolezza delle famiglie e della comunità sulla complessità delle fragilità insite nei processi di invecchiamento, per supportarle nella gestione dei percorsi di diagnosi e cura dei loro famigliari affetti da demenza. Il “Word Alzheimer Report 2019. Attitudes to dementia” ha evidenziato come sia fondamentale rendere la comunità consapevole per creare attorno alle persone affette da demenza e alle loro famiglie un clima di comprensione che possa evitare lo stigma e isolamento sociale e creare una rete di servizi adeguati a sostenerne il percorso di cura[1]. Non è solo un problema di salute e cura del singolo e/o del famigliare che se ne occupa: a livello individuale la non consapevolezza sulla malattia può portare a negare dei diritti di assistenza e cura ed abbassare il livello di benessere e qualità di vita delle persone affette da demenza; a livello sociale lo stigma strutturale che si crea può influenzare negativamente anche il volume dei finanziamenti assegnati alle cure e al sostegno ai malati e alle loro famiglie.
Il progetto “IL DIRITTO DI ESSERE FRAGILI: NUOVE ATTENZIONI ALLA DEMENZA” è stato fortemente voluto da Elisabetta Donati, Presidente di Fondazione Casa di Industria Onlus che lo ha realizzato con un gruppo di professioniste e professionisti [2] che operano nelle due RSA che si sono fatti carico del progetto con forte motivazione e convincimento, pur nel momento di emergenza sanitaria che ha toccato pesantemente la città di Brescia e le RSA. Il gruppo di lavoro era formato in gran parte da donne con diversi ruoli e professionalità che, certamente in sinergia anche con i professionisti e specialisti coinvolti direttamente nel progetto, hanno perseguito gli obiettivi con spirito di innovazione, nonostante la pandemia avesse stravolto i tempi, le esperienze professionali, le regole di assistenza e le relazioni di cura. Le RSA coinvolte nel progetto lo hanno vissuto come una opportunità da cogliere per trovare alcune delle risposte utili a rispettare le nuove forme del vivere e dell’invecchiare di donne e uomini e ”tenere per mano la dignità delle vite fragili dimostrando di poter essere realtà vive, ricche di competenze, pronte a guardare avanti e a scrollare i numerosi stereotipi culturali così presenti nella società che qualificano le RSA come luoghi di abbandono, di morte e di anonimato”.[3]
La descrizione del percorso progettuale compiuto, che rimando per maggiori approfondimenti e dettagli alla consultazione delle fonti dirette che ne danno ampia descrizione[4], a mio parere deve necessariamente partire da quelli che ritengo i suoi reali prodromi, che sono per me stati fondanti per la buona riuscita del progetto: la governance interna del progetto lo è stata, rivelandosi una leva non rituale, per nulla burocratica, orientata sempre allo scopo e attenta al processo partecipativo.
La qualità e quantità di tempo dedicato alla progettualità, alla gestione operativa e al monitoraggio continuo attivati dal gruppo di lavoro hanno contribuito a orientare il progetto verso un senso compiuto che non ha mai abbandonato una visione attenta sull’invecchiamento e le caratteristiche dell’invecchiare oggi per donne e uomini. Il gruppo di lavoro ha sempre fronteggiato da un lato gli “ordinari” problemi gestionali della struttura (bisogno di risorse, di personale, strategie di indirizzo), dall’altro ha reagito sempre con competenza alle drammatiche situazioni interne ed esterne dovute alla pandemia che tanto hanno toccato le RSA con una visione tesa al cambiamento e alla sostenibilità futura.
La dirompente situazione creata dalla pandemia non ha mai fermato l’intenzionalità del gruppo di progetto nel voler proporre un cambiamento all’interno e a fare rete all’esterno; le nuove criticità che emergevano quotidianamente in RSA hanno forzatamente rallentato i tempi del processo ma, al tempo stesso, hanno portato ad affinare la ricerca degli strumenti e delle metodologie più adeguati a intervenire fase per fase, criticità per criticità, relazione per relazione. Un lavoro di “tessitura” continua, anche faticoso, che le donne in particolare, sanno affrontare con competenza professionale ed esperienziale (sono ancora le donne che rappresentano la maggioranza delle professioni di cura e assistenza e che sono caregiver nelle famiglie di persone anziane e fragili). Un lavoro competente per mantenere la coerenza degli obiettivi e adottare le soluzioni organizzative-relazionali utili per costruire il progetto insieme alle/ai professionisti della cura che lavorano in RSA ed esternamente, per attivare la rete dei servizi-associazioni sul territorio, il Comune, le Istituzioni. Un lavoro che oggi, mentre stiamo uscendo gradualmente dall’emergenza, ha reso evidente alla comunità quanto fossero opportuni per la RSA e il sistema socio-sanitario cittadino gli interventi proposti dal progetto per migliorare la capacità di accoglienza e cura delle persone affette da demenza e sostenere i nuovi bisogni delle loro famiglie e caregiver. Per questo, a progetto concluso, considero la governance di questo progetto un prodromo necessario all’efficacia del progetto in termini di risultati e non tanto un passaggio di ordinaria gestione previsto dal disegno progettuale. Non sempre accade, così come non è sempre dato (o possibile) che i progetti una volta conclusa la loro programmazione formale divengano sostenibili e trasferibili.
Come a dire che dallo speranzoso slogan “Andrà tutto bene” si è andati verso il più impegnativo “Impariamo da qui ed andiamo oltre”.
Chi aiuta a richiamare un ricordo, restituire dignità, correggere un errore a favore di queste persone vulnerabili, cambia il mondo per sempre.
La convinta affermazione di Moyra Jones[5] soprarichiamata, l’ideatrice del Modello GENTLECARE® a cui il progetto si è riferito, ben richiama lo spirito con il quale la terapista occupazionale ( Moyra Jones) ha proposto e divulgato il metodo alla fine degli anni 1990 in Canada. Il metodo GENTLECARE® nasce dalla sua diretta esperienza di figlia adulta che affronta con scarse indicazioni terapeutiche e un grande carico emotivo, la fatica della relazione e della cura quotidiana del padre ammalato. Da allora l’esito delle sue osservazioni dirette e delle sue ricerche è divenuto un importante riferimento teorico e pratico che ha orientato gli studi in materia e la professionalità di tanti operatori socio-sanitari e contribuisce, là dove è applicato, al miglioramento dei servizi di assistenza e cura dedicati alle persone con problemi di demenza. Il modello è considerato dalla comunità medica e scientifica un approccio che ha portato innovazione e novità di pensiero nella cura e assistenza delle persone affette da demenza e che attraverso una comprensione profonda delle peculiarità della malattia e del tipo di disabilità che essa provoca, aiuta a cogliere e valorizzare le capacità residue delle persone, dando ancora significato alla loro storia personale e ai desideri, perseguendo sempre l’obiettivo del loro benessere con un sistema di azioni comportamentali, relazionali e strutturali in grado di sostenerli, senza sfidarli a vivere situazioni ormai lontane dalle loro possibilità, prevedendo una pluralità di azioni terapeutiche capaci di connettere l’esperienza soggettiva con il contesto di vita.
Il modello Gentlecare come metodo nelle RSA e riferimento per la comunità.
Il progetto “Il diritto di essere fragili” costruito intorno alla filosofia e metodologia Gentlecare® si è strutturato in specifiche azioni connesse tra loro, coordinate e monitorate dal gruppo di governance di progetto, e dedicate agli ospiti e loro famigliari, al personale, ai volontari che collaborano attivamente nella Fondazione e alla comunità territoriale. Tre sono stati gli ambiti di intervento:
AMBIENTE: LO SPAZIO COME PROTESI PER LE PERSONE CON DEMENZA.
L’azione è stata finanziata direttamente da Fondazione Casa di Industria Onlus con risorse proprie ed ha permesso di offrire un adeguamento degli ambienti di vita a disposizione degli ospiti e degli operatori al fine di favorire spazi di pensiero, di parola e di attività in base ai bisogni delle persone in difficoltà. Si è intervenuti riqualificando la terrazza adiacente al nucleo Alzheimer “La terrazza di casa”; migliorando gli spazi e gli arredi interni secondo le linee di Gentlecare® e promuovendo una campagna di fundraising mirata all’acquisto di nuovi arredi per gli ospiti con la patologia che ha avuto un positivo riscontro che ha fatto raggiungere gli obiettivi prefissati.
FORMAZIONE: IL MODELLO GENTLECARE® COME FILOSOFIA DI CURA.
La formazione è stata mirata a dotare le operatrici e gli operatori delle due RSA di strumenti più adeguati alla gestione e cura delle persone con demenza, migliorando sia il benessere delle persone ospiti sia il benessere degli operatori e dei professionisti della cura. Nel primo caso si è teso a ridurre la gravità dei disturbi comportamentali, il ricorso alla contenzione farmacologica e fisica e la valorizzazione delle capacità residue per contrastare il processo di decadimento cognitivo e migliorare il benessere dei malati; per i secondi l’obiettivo è la riduzione dello stress generato dall’assistenza di persone con demenza portando arricchimento, valore e consapevolezza della qualità dell’apporto professionale di ciascuno. Il percorso formativo ha portato all’acquisizione del titolo di operatore Gentlecare® per coloro che hanno partecipato alla formazione e porterà la struttura della RSA alla certificazione formale dell’acquisizione e applicazione del metodo all’interno della struttura.
SUPPORTO: PARLIAMO DI DEMENZA
È attivo un servizio di consulenza alle famiglie e caregiver di persone affette da demenza attraverso un PUNTO DI INFORMAZIONE E ASCOLTO TELEFONICO GRATUITO con una linea di ascolto dedicata a cui le persone, le famiglie, i servizi, i diversi soggetti/attori territoriali possono accedere. Il servizio costituisce una prima accoglienza ai bisogni di persone e famiglie in una dimensione multi-professionale e lavora in sinergia e con il supporto scientifico di IRCCS Fatebenefratelli, struttura di eccellenza per la ricerca, la diagnosi e cura della patologia di Alzheimer nella città di Brescia. Il Punto informativo risponde a richieste di informazioni sui servizi attivi nella città; offre consulenza per trovare risposte di assistenza a domicilio e presso strutture specifiche; offre ascolto psicologico ai caregiver dedicando attenzione alle loro fatiche e richieste di aiuto per la gestione quotidiana di persone con demenza. Ha sede nella RSA Casa di Industria ed è inserito nella rete dei servizi OASI[6]. Il gruppo di lavoro ha redatto un Opuscolo informativo di facile consultazione[7] che viene diffuso alle famiglie, ai caregiver, nei diversi luoghi e servizi della città e presenta una aggiornata e dettagliata mappatura delle opportunità e dei servizi esistenti a Brescia rispondendo alla domanda “Come fare e dove andare” per essere aiutati quando ci si trova ad affrontare la cura e assistenza di una persona affetta da demenza.
Verso un percorso di dialogo con la città per una comunità amica della demenza.
Il progetto è oggi divenuto parte integrante dell’operare delle due RSA in sinergia con IRCCS Fatebenefratelli di Brescia. È un progetto vivo, che sta trasferendo i suoi contenuti dai luoghi interni delle strutture che lo hanno sperimentato ai luoghi esterni della comunità cittadina per costruire “UNA COMUNITÀ AMICA DELLA DEMENZA” capace di offrire risposte concrete e comportamenti sociali (non solo sanitari) capaci di tenere insieme dignità e diritti delle persone con grande fragilità. Attualmente il progetto è divenuto parte del dossier di progetti “La città illuminata” che sono stati selezionati, sostenuti e saranno attivati dal Comune di Brescia per “Brescia e Bergamo Capitale italiana della cultura 2023”. Il lavoro quindi proseguirà nella comunità cittadina a partire dall’esperienza avviata con il progetto che si è già collegato in rete con altre città che stanno intervenendo con lo stesso convincimento[8].
Sicuramente un bell’esito per il progetto, per niente scontato, che si deve certo alla qualità delle azioni messe in campo ed anche alla motivazione delle risorse professionali coinvolte che hanno saputo dialogare tra loro con un comune sentire, e che sono state capaci di comunicare all’esterno dimostrando la possibilità concreta di aprire un confronto con la città. L’obiettivo è quello di costruire una comunità inclusiva, coinvolta in micro-azioni possibili, a volte sono già presenti e non visibili, che siano capaci di migliorare il vivere quotidiano delle persone affette da demenza e di intervenire con competenza diffusa e concretezza sull’accettazione delle loro fragilità.
“L’accettazione delle fragilità, insite nell’esistenza, impegna da sempre le comunità umane a cercare risposte che tengano insieme la dignità ed i diritti della persona con la cura del bene comune. Le vulnerabilità sono state occasioni per le società di evolvere, di avere consapevolezza del nostro essere soggetti in relazione con altri e con il mondo che ci circonda”.[9]
1 Commento
Articolo mollto interessante! Mio marito (82 anni quindi non così vecchio) è stato colpito da un ictus nella parola. Curato a Niguarda benissimo alla stroke unit che ha cercato invano di individuare le motivazioni dell’ictus senza mai riuscirci. Sono passati 8 anni e da circa sei mesi il peggioramento nella vista (non ci vede più) e l’arrivo della demenza si stanno facendo sempre più forti. Quindi sarei molto contenta di avere aggiornamenti syll’argomento “Demenza”
i cuts che lo ha colpito nella parola, che ha ripreso abbastanza bene grazie a tutte le cure ben fatte a Niguarda ha ripreso la vita an he se mo