Alcol. Non è il delirio tremens di Ray Milland, in GIORNI PERDUTI di Billy Wilder, che vedeva con un omaggio espressionista un pipistrello mangiare un topo. Né quello di Yves Montand nel supernoir I SENZA NOME di Melville, dove si vedeva ricoperto di serpenti. Nel film grandioso, libero e dolente di Thomas Vinterberg -piaciuto e premiato in tutto il mondo- siamo più dalle parti di quella commedia indimenticabile del maestro Blake Edwards che è I GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE con i giganti Jack Lemmon e Lee Remick. Si parte infatti come una commedia d’ambiente scolastico, danese, dove 4 professori (attori tutti in stato di grazia col più noto, il magnifico Mad Mikkelsen, come sempre oscuramente bello e tormentato) vivono la crisi della mezza età, le frustrazioni dei sogni perduti e guardano al futuro senza gioia in famiglia e fuori. Sicché decidono di provare ad applicare una folle teoria secondo cui mantenendo nel sangue un tasso alcolico in giusta percentuale, la vita torna a sorridere.
L’analogia con Edwards è questa, il pensare di poter controllare il bere. Ma come là ciò non avviene e raggiunto il picco di una falsa euforia inizia il precipizio verso l’alcolismo, senza ritorno e senza via d’uscita. Pura distruzione che travolge tutto e tutti. Vinterberg però non si ferma qui. Anzi fa un passo indietro nel momento in cui i 4 ammettono, a un passo dall’auto distruzione, di aver preso coscienza della loro fallibilità. Perché il bere era proprio partito da una non accettazione iniziale della fallibilità, che significa non prender coscienza che la vita è in salita, ma è anche in discesa. Per cui non si resta giovani e felici per sempre. Quindi Vinterberg viaggiando da una fallibilità esistenziale iniziale non accettata, a una fallibilità finale, a un passo dalla morte, accettata per il rotto della cuffia, approda a un finale assolutamente nuovo e imprevedibile, dove non vi è traccia di morale o moralismo. Accettati se stessi e visto l’inferno, ci si può anche buttare in una danza alcolica una tantum senza pensare di continuare a bere. Ballare, librarsi, magari con l’aiuto di una birra, ci sta se si è accettato di cadere. Quindi un meraviglioso canto libero e di libertà, che trasforma il grigiore scandinavo in vita. C’ è Bergman, Lars Von Trier e soprattutto quel grande regista che può essere Vinterberg quando parla di mondi chiusi (FESTEN la famiglia, IL SOSPETTO la provincia, LA COMUNE l’alternativa alla famiglia), alza il coperchio e ne fa uscire puro inferno purgatorio e un po’ di paradiso.