“Ok boomer!”. È l’espressione sarcastica che esprime il conflitto intergenerazionale tra i millennial e la generazione Z da una parte, con i baby boomer, dall’altra: i nati tra il 1946 e il 1964. Questi sono la generazione vivente più numerosa. Tale risposta sarcastica viene data a questi ultimi quando si esprimono con approvazione condiscendente verso temi come il cambiamento climatico, le tecnologie o sui temi riguardanti i gruppi minoritari.
Secondo alcuni osservatori la generazione baby-boom comprende chiunque sia nato tra il 1946 e il 1964, ma questi diciannove anni è una coorte terribilmente ampia e con esperienze molto diverse. I nati a metà degli anni Cinquanta ha raggiunto la maturità in un mondo assai diverso da quello dei nati alla fine della Seconda guerra mondiale; diverso era il clima culturale, dalle marce per la pace al rock.
Quando i figli del primo boom erano ragazzini, la TV era una novità, gli ultimi dei baby boomers, furono cresciuti su “Capitan Kangaroo”.
“Loro erano abbastanza esperti sullo Sputnik; noi eravamo abbastanza giovani da crescere annoiati degli allunaggi. Il motivo musicale dei loro anni alla scuola superiore erano i Beatles e Motown; il nostro era “Frampton Comes Alive!”. Più che Freedom summer, marce per la pace, e Woodstock”.
È di moda (soprattutto negli USA) detestare i figli del “baby-boom”. Ma di che cosa vengono ritenuti colpevoli?
Alcuni commentatori sostengono che la colpa è semplicemente di essere nati prima dei millennial e della generazione Z, di vivere nella prosperità. Altri sottolineano che le generazioni più giovani accusano, la più ricca generazione nella storia, di essere degli incettatori di titoli onorifici e di potere, principalmente spinti dalla bramosia di fare soldi.
Di aver sperperato la ricchezza in acquisti inutili e progetti irrealistici, lasciando i più giovani in un ambiente inquinato e rovinato e indebitati fino al collo.
Con ironia viene osservato che l’accusa ai baby boomer di aver rovinato il pianeta è priva di senso, e si sottolinea che devono passare molti decenni per giudicare l’eredità politica e culturale di questa generazione o la responsabilità di aver invertito negativamente il corso della storia. Il paese nel quale questi scontri sono frequenti è l’America. In Italia sono più sotterranei.
Per il mondo cattolico conservatore americano i peccati di questa generazione riguardano non solo il tasso di indebitamento, ma la corruzione delle anime. I conservatori passano dalle vivaci critiche sociali a considerarli dei narcisisti incalliti, dipendenti dalla pornografia e dal sesso, incapaci di perseguire atti concreti di idealismo ai quali si ispiravano.
Altre critiche si collocano nel tessuto culturale e politico: il dibattito sull’eredità dei baby boomer si focalizza sul declino e sul destino del liberalismo, della tolleranza; sono ritenuti responsabili della decadenza della società, e di aver smarrito la memoria culturale.
Le critiche e i toni si sono inaspriti con l’uscita del libro “Boomers” di Helen Andrews, nel quale i baby boomer sono indicati come i responsabili del declino della cultura liberale.
Nella visione di Andrews i ricchi boomers hanno promesso la liberazione di tutti, ma palesemente tali promesse si sono indirizzate solo per i titolati.
Così come la liberazione delle donne ha ripagato le donne “atipiche”, chi aveva i mezzi e il talento; invece, le donne “comuni” sono state derubate “dalla possibilità di ciò che faceva loro felici: fare le casalinghe”.
L’espansione della scolarità ha dato risultati inferiori di quelli auspicati perché le università si sono sbarazzate della tradizionale educazione liberale e costruito una altezzosa e intollerante educazione di classe con l’intento di imporre a tutti i propri valori. Andrews sintetizza l’eredità dei boomer nei termini seguenti: “drogati, divorziati, ignoranti e indebitati, ma almeno lo hanno fatto senza idealismo”.
Al di la dei pregiudizi che si possono rintracciare in alcune critiche, elementi importanti hanno caratterizzano la generazione dei baby boomer nei paesi occidentali – seppure in modo non uniforme: la crescita rapida del benessere (per esempio lo standard di vita delle persone negli USA si è raddoppiato dagli anni sessanta) e la domanda di cambiamento e per rivendicare equi diritti civili.
Ora che quella generazione raggiunge l’età della pensione ci si chiede quale sarà l’impatto nel mercato del lavoro. In alcuni settori e in alcuni lavori, per i quali è difficile trovare esperienze e il patrimonio del “saper fare” di questa generazione, occorrono iniziative miranti ad evitare il gap di conoscenze avendo presente le inclinazioni lavorative delle nuove generazioni.
Scossoni si riverberano ovviamente anche sulle casse statali o su chi eroga pensioni. Tito Boeri, quando era presidente dell’Inps, sottolineò il rischio dell’Istituto per il periodo 2030-2032 quando l’ampia generazione dei baby boomer andrà in pensione.
L’attenzione verso questa generazione credo sia parte anche di una volontà di marcare una cesura con una generazione che ha segnato la discontinuità con il periodo precedente, portando a cambiamenti e innovazioni nei sistemi democratici che fasce di cittadini non condividono.