Il probabile addio al Cinema del grande vecchio indomabile Ken Loach è un’opera somma sulla compassione e l’armonia che ne scaturisce. Comprendere e soccorrere coloro che sono in pena crea serenità, pare dirci il più combattente dei registi, insieme al suo fedele sceneggiatore Paul Laverty, il quale stavolta ha scritto dialoghi non solo molto belli, ma anche molto utili. Cosi’ come le immagini attente partecipi sempre essenziali, mai casuali, di Loach, ci dicono che il “fuori” devastato del mondo e della società possa ancora essere visto attraverso un “di dentro”, ovvero una sensibilità umana e un’accoglienza civile nate dal profondo dell’anima. Nonostante Loach resti fedele alla propria immanenza, stavolta traspare infatti qualcosa di “divino”, rapportato a una dimensione strettamente umana. Per cui l’arrivo in una cittadina inglese ex mineraria-teatro nei funesti anni 80 tatcheriani di scioperi e crisi irreversibili che condussero a impoverimenti e chiusure (un po’ come sta accadendo oggi) di un gruppo di rifugiati siriani, dà la svolta. Inizialmente contestati dagli abitanti, proletari seppur ancorati alle loro briciole di benessere, troveranno infatti in Tj Ballantyne, il proprietario del vecchio pub locale “La vecchia quercia” (quale migliore definizione per Ken Loach?) e nella giovane siriana Yara, i paladini di una renaissance umana sociale interraziale. E non a caso, perché l’uomo non più giovane guarda il mondo attraverso il filtro di fallimenti privati che lo spinsero a un tentato suicidio (salvato da una cagnolina come in “Umberto D” di Vittorio De Sica), mentre la giovane donna lo guarda attraverso l’obiettivo della sua inseparabile macchina fotografica, che le fa ritrarre il mondo non come è ma come dovrebbe essere. Lo stesso fa Ken Loach con questo film bellissimo commovente e colmo di speranza. Non utopistico, perché davvero vibrante di un credo nell’essere umano, tanto da modificarlo nel film rispetto alla realtà. Rendendolo meno respingente e prevenuto verso l’altro e più autenticamente aperto a chi ti chiede aiuto. Perché nella solidarietà umana-pare dire Ken Loach, in una processione finale multietnica che riporta alla mente quel Capolavoro Assoluto che è “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini- risiede il vero miracolo, forse possibile con altri occhi e altri sguardi. Quelli della memoria che illumina il presente, come le foto dei minatori che prendono nuova vita attraverso le foto di Yara circa quarant’anni dopo. Cambia lo sguardo, ma l’essenza compassionevole e solidale resta