La guerra è profondamente reazionaria e regressiva: detesta le libertà e la rivendicazione dei diritti. Probabilmente è per questo che piace tanto ai tiranni. Chi ancora pensa e scrive che lo stupro è un atto che viene acceso da un impeto sessuale, anzi da un desiderio improvviso e focoso nei riguardi del corpo femminile, sbaglia di grosso. Lo stupro, soprattutto quello di gruppo, sconosciuto fra gli animali, è un’arma intimidatoria tutta umana, e ha un valore simbolico grave e devastante. Nell’atto dello stupro il pene diventa la spada che taglia, ferisce e penetra nel luogo sacro della nascita, appropriandosi allegoricamente della grande forza della procreazione. L’uomo che stupra è come se dicesse, nel linguaggio potente dei vincitori, «Io qui ora sono il padrone invado il tuo corpo nemico e lo riempio del mio seme e se avrai un futuro, questo porterà i segni del mio dominio e della mia proprietà». Come immaginare una offesa più profonda di quella di un nemico che introduce la sua identità nel progetto procreativo del vinto? Come difendersi da un attacco così insinuante alla specificità profonda di un popolo?
Credo che si capisca come, al posto del desiderio sessuale che, nella sua normalità si basa su condivisione e reciprocità, subentrino primitivi istinti di dominio, appropriazione violenta, e controllo del territorio. Istinti che si accompagnano sempre a brutalità, aggressività, odio. Tutti impulsi che la guerra suscita e coltiva. La guerra è profondamente reazionaria e regressiva: detesta le libertà e la rivendicazione dei diritti. Probabilmente è per questo che piace tanto ai tiranni. Oltre al fatto che ogni azione guerresca compatta in maniera automatica il senso dell’appartenenza e l’odio verso il vicino e il diverso. Per le donne poi è proprio una disgrazia. Oltre a rischiare la vita, a dovere affrontare emergenza e sofferenze, saranno spinte ad occupare i ruoli tradizionali. L’abbiamo visto in questi giorni con l’Ucraina: via le donne e i bambini, gli uomini alla guerra. Tornano automaticamente le divisioni dei compiti. E con le divisioni dei compiti anche le divisioni di responsabilità e di rappresentanza. «Quando le cose si fanno serie», ho sentito dire a un militare, “noi uomini dobbiamo prenderci le responsabilità del caso». Benissimo. Ma peccato che insieme alle responsabilità ci si prenda anche il privilegio delle decisioni sulle libertà di genere e sulla costruzione del futuro.
di Dacia Maraini| 28 marzo 2022